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Agri-diplomazia, il futuro del cibo passa da qui

Agri-diplomazia, il futuro del cibo passa da qui

Alternativo al diktat della Ue, che vuole ridurre le produzioni perché «inquinano», emerge il modello italiano: esportare in africa qualità e tecnologie, e allacciare partnership per valorizzare le terre fertili.


Se l’Europa parla di agricoltura scatta l’undicesimo comandamento: non indulgere in contraddizione. La Commissione spinge nel ridurre le produzioni per abbassare le emissioni, però minaccia carestie se non si arresta il cambiamento climatico. Tutto questo in uno scenario di massima instabilità, con i prezzi in pericolosa oscillazione per il perdurare della guerra in Ucraina e la conseguente incertezza sull’esportazione dei cereali dai porti del Mar Nero.

Frans Timmermans, vicepresidente esecutivo della Commissione, ossessionato dal cambiamento climatico e amico delle multinazionali specializzate in cibi di laboratorio (finanzia – anche con soldi europei – i bioreattori olandesi che producono bistecche partendo da cellule staminali estratte da siero fetale bovino, mentre fa chiudere le stalle vere perché «inquinano»), è arrivato in Italia. Con un road show per convincere il Paese più riottoso verso il «Farm to fork» – la versione in chiave agricola del Green deal di Ursula von der Leyen – che arriverà l’apocalisse. Timmermans pare ignorare che in Europa sta montando una forte opposizione. Bruxelles è stata presa d’assedio dai trattori fiamminghi, in Francia le proteste dei vignerons si sommano a quelle per le pensioni, in Olanda il partito dei contadini ha vinto le elezioni. È in atto uno scontro di paradigma: quello della Commissione vuole imporre diminuzione delle produzioni, liquidazione della zootecnia, incremento di dipendenza alimentare dell’Europa dall’estero per salvare il pianeta; quello italiano punta alla qualità, alla massimizzazione delle rese, a un’agricoltura come motore di sviluppo.

Con questo modello Coldiretti, Filiera Italia con il supporto dei ministri per la Sovranità alimentare Francesco Lollobrigda e degli Esteri Antonio Taiani, e la collaborazione dell’Eni e di Bonifiche Ferraresi, in due differenti progetti hanno lanciato un’offensiva di agridiplomazia in Africa. Timmermans ha risposto con il viaggio in Italia. A Pollenzo, all’Università di Scienze gastronomiche creata da Carlo Petrini, il guru di Slow Food, il politico olandese ha dato il meglio si sé affermando che «se i cambiamenti climatici non verranno messi sotto controllo oggi, i nostri figli domani si ritroveranno ad affrontare guerre per il cibo e l’acqua».

Il fautore della polvere di grilli, del Nutri-score, l’etichettatura a «semaforo» dei principi nutrizionali e della carne in provetta, ha aggiunto: «Va cambiato il sistema alimentare perché continua a spingere troppi consumatori a scelte alimentari poco sane. Nell’Unione sprechiamo circa il 20 per cento di ciò che produciamo. L’aumento delle temperature farà calare la produzione di grano e resteremo senza pane». Applausi da Petrini, un po’ meno da coltivatori e allevatori olandesi. Organizzati nel Movimento civico-contadino, questi ultimi hanno vinto le elezioni amministrative con oltre il 20 per cento, battendo il premier Mark Rutte e i socialisti di Timmermans con un programma di secca risolutezza: «Giù le mani dall’agricoltura, no al finto ambientalismo europeo che fa gli interessi delle multinazionali».

Peraltro, la Commissione che mette in guardia sulla possibile carestia è la stessa che taglia concimi e fitofarmaci, ma soprattutto dimezza i contributi. Che sul mais passano da 360 a 180 euro a tonnellata: produrremo quindi solo 4,7 milioni di tonnellate di mais, mentre la superfice coltivata è ai minimi storici (564 mila ettari). Per alimentare le stalle e avere latte per fare i nostri gioielli caseari – Parmigiano e Grana Padano in primis – dovremo fare acquisti all’estero. Dall’Ucraina abbiamo già spremuto il massimo nelle condizioni date: un milione di tonnellate e siamo il quarto Paese ad aver beneficiato dagli accordi del Mar Nero. Che però sono fragilissimi. Così la Commissione spinge perché si compri fuori dall’Unione europea.

Succede con i pomodori che hanno invaso il nostro mercato, con l’olio, i formaggi e il latte, con l’ortofrutta. Per l’Italia è il terzo settore di esportazione, ma l’invasione dei cibi extra-Unione europea è pesantissima: abbiamo importato due milioni di tonnellate e il nostro saldo commerciale è caduto dell’81 per cento, a soli 115 milioni di euro. «Bisogna evitare questa colonizzazione, favorita dalla Commissione, di prodotti che non hanno i nostri standard e dobbiamo esportare il nostro modello di produzione per far sì che gli Stati africani abbiano sicurezza alimentare e prodotti ad alto standard» sostiene Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, appena rientrato da una missione di agri-diplomatica in Egitto.

Nel Paese del Nordafrica Scordamaglia è andato con il ministro degli Esteri Antonio Tajani e il presidente di Coldiretti Ettore Prandini. L’Italia fornirà al nuovo partner macchine agricole – da Maschio Graspadoro a Sdf fino a Ima, leader mondiale nel confezionamento agroalimentare – tecnologie, sementi per «stimolare una produzione locale» sostiene Prandini «frenare l’emigrazione, stabilire fattive collaborazioni commerciali ed evitare che se si riacuisce la crisi del grano in Ucraina queste nazioni vadano incontro a una grave insicurezza alimentare». Ma che cosa significa esportare il modello Italia? Bastano quattro numeri per rendere l’idea. Con lo 0,4 per cento della superfice coltivata mondiale, il nostro Paese produce un valore aggiunto agricolo di oltre 70 miliardi di euro, che con il moltiplicatore diretto arrivano a 320 (di cui oltre 60 dall’export). «E questo modello» dice Prandini «tra un paio di settimane andremo a illustrarlo anche in Albania con il ministro Francesco Lollobrigoda».

La finalità? Utilizzare la competenza e la qualità del sistema agroalimentare italiano per allacciare partnership che ci mettano al riparo dalla concorrenza sleale e consentano di dribblare la visione europea di un’agricoltura marginale. Ma ci sono anche ragioni umanitarie e geopolitiche. Giorgia Meloni ha parlato esplicitamente di «piano Mattei». Ebbene, Coldiretti con Bonifiche Ferraresi (la più importante holding agroalimentare italiana guidata da Federico Vecchioni) ed Eni, già da tre anni in Ghana, ha avviato una cooperazione che riguarda i settori energetico, agricolo, alimentare e zootecnico. Sostiene Luigi Scordamaglia: «Questa nostra agri-diplomazia in Africa va allargata: le opportunità di sviluppo sono enormi per paesi che oggi dipendono come l’Eritrea al 90 per cento dal grano ucraino. Hanno nella fertilità dei territori il vero petrolio. Solo la Cina, ma con un atteggiamento predatorio, si è affacciata nei campi africani. Lì, noi possiamo sviluppare un’agricoltura sostenibile che dia ricchezza a quei Paesi e permetta a noi di avere ottime relazioni. Quel continente con oltre il 35 per cento della terra fertile del mondo produce meno del 18 per cento. Ci sono Stati come il Mozambico che hanno potenzialità enormi. Abbiamo il dovere, ma pure la convenienza geopolitica ed economica, di esportare il modello agroalimentare italiano. Che è fatto soprattutto di piccole e medie imprese, di efficienza, tecnologia. È in grado di valorizzare come nessun altro la terra fertile e le materie prime agricole, con un’antica sapienza di trasformazione associata alla più forte innovazione tecnologica».

Questa è l’agri-diplomazia, una pianta italiana che cresce nel mondo.

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