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E’ il momento di rafforzare la contrattazione aziendale

E’ il momento di rafforzare la contrattazione aziendale

Rubrica: Portugal Street

Innalzare il tasso di crescita, aumentare l’occupazione, ristrutturare il welfare. Quello che si delinea è uno scenario favorevole alle riforme strutturali che mancano al Paese. Ma non dobbiamo sprecare le risorse in arrivo dal Recovery Fund, Mes, SURE e BEI.


Il piano di rilancio dell’economia italiana dipenderà molto dalle risorse che il Recovery Fund europeo metterà a disposizione e da quelle che arriveranno attraverso Mes, SURE e BEI. Cifre importanti che verranno mobilitate dall’Europa nel corso di questo e dei prossimi anni. Risorse che saranno per una parte a fondo perduto e per una altra parte prestiti a tassi molto vantaggiosi. Ciò comporterà certamente un aumento del debito pubblico ma con un grado di sostenibilità maggiore e che potrebbe innalzarsi se lo Stato italiano riuscirà a canalizzare anche una parte del risparmio privato sui titoli del debito pubblico, come oggi ha sottolineato il Presidente della Consob. Sull’onda di questo finanziamento mai avvenuto prima da parte dell’Europa, il Governo ha chiamato le forze sociali del Paese per delineare un progetto di rilancio dell’Italia. Un nuovo esempio di concertazione sociale che si differenzia da quelli che sono stati svolti dal 1992 ad oggi per il fatto che avviene per utilizzare risorse e non per politiche di contenimento, l’austerità europea tanto contestata. Infatti, nell’ultimo ventennio le riforme strutturali sono state fatte a costo zero o, meglio, senza oneri aggiuntivi per le finanze pubbliche: in pratica sono state riforme parziali. Si converrà che quello che si delinea è uno scenario profondamente diverso e favorevole per attuare le riforme strutturali che mancano al Paese. La domanda che ci si deve porre, allora, è quali riforme strutturali si intende promuovere per fare muovere il PIL, cioè per spingere sulla crescita e per costruire un nuovo Paese più produttivo, più attivo, più inclusivo. Non occorre un grande sforzo di fantasia o di teoria economica. Basta mettere in pratica ciò che l’Europa ci dice da quasi venti anni, prima con il processo di Lisbona, poi con il piano 2020 e da ultimo attraverso gli esercizi del semestre europeo. È sufficiente scorrere le pagine dell’intervento del Presidente della Commissione Europea agli Stati Generali per comprendere che l’Unione Europea non fa altro che confermare all’Italia le “raccomandazioni” che annualmente ci rivolge: aumento della produttività, maggiore occupazione, politiche attive, lotta alla povertà, riequilibrio del sistema di tassazione, miglioramento significativo della qualità dell’azione della Pubblica Amministrazione, giustizia civile più rapida. Raccomandazioni che tutti gli economisti mettono alla base del “malato” Italia. La prima risposta non sembra essere all’altezza della sfida, purtroppo. Il piano Colao è una rassegna di azioni ovvie, un menù messo a disposizione della politica, nel quale mancano, però, molte diagnosi e azioni di intervento. Ancora più incerto è, per il momento, il piano che il governo -in tutta fretta- ha approntato per gli Stati Generali: un catalogo di azioni senza ordine di priorità, alcune delle quali ingiallite dalla polvere e ora dagli effetti della pandemia. L’occasione che ci si propone è, invece, quella del coraggio e della innovazione, disegnando alcuni grandi ribaltamenti di impostazione, costruendo un’Italia fondata sulla libertà e sulla responsabilità, meno sullo Stato e più sulla società, con un diverso equilibrio tra fiscalità generale e sistemi di assicurazione collettivi e/o privati. Detassare gli aumenti contrattuali è una ricetta che viene proposta da molti anni per fare crescere i salari ma allora meglio sarebbe rafforzare robustamente la contrattazione aziendale e territoriale, legandola definitivamente ai parametri di produttività, di competitività e di redditività, così come si tenta di fare dal 1993. Riformare gli ammortizzatori è una operazione che nasce da molto lontano e che fino ad oggi è proceduta attraverso riforme parziali. Oggi è tempo di avanzare verso un sistema a più pilastri, con un pilastro di carattere universalistico, uno di carattere mutualistico/contrattuale e uno privato, colmando i buchi che sono evidenti (lavoro autonomo, giovani, donne) e rafforzando le condizionalità. Occorre pensare ad un reale collegamento tra politiche attive e politiche passive del lavoro, affidandolo ad una rinnovata Agenzia del lavoro e liberando l’Inps dal compito degli ammortizzatori. L’Inps dovrebbe diventare, invece, la vera casa del welfare, pensioni e politiche sociali. D’altra parte, l’avere affidato all’Inps tutta la gestione della pandemia ha prodotto il caos oggi esistente. Creare una potentissima Cassa Depositi e Prestiti, che ormai agisce a tutto orizzonte, è sicuramente una garanzia per la tenuta delle casse degli enti territoriali e per la permanenza di investimenti produttivi strategici in Italia. Nondimeno, sarebbe il momento di promuovere una solida politica industriale, in parte una evoluzione di Impresa 4.0, ed in parte dichiarando in quali settori lo Stato intende prendere titolarità delle imprese, con quali obiettivi e attraverso quali strumenti. Occorre rafforzare il libero gioco tra mercato e Stato nell’ambito di chiare competenze. Ho indicato qui tre esempi ma ve ne sono molti di più, ovviamente. L’importante è non sprecare una grande occasione per riformare e riorganizzare l’Italia, con il chiaro obiettivo di innalzare il tasso di crescita, aumentare l’occupazione, ristrutturare il welfare.

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