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Le ragioni strategiche e militari per cui Israele non è ancora entrata a Gaza

Le ragioni strategiche e militari per cui Israele non è ancora entrata a Gaza

Combattere tra le macerie, le stradine, i cunicoli costruiti sottoterra da Hamas è molto complicato e rischioso

Ci sono diversi motivi politici che frenano l’intervento massiccio e capillare delle forze di difesa israeliane (Idf) dentro Gaza, ma ce ne sono altrettanti di carattere tattico e strategico. Gerusalemme ha affermato di aver mobilitato 360.000 soldati di riserva con lo scopo dichiarato di distruggere l’organizzazione di Hamas, mentre il governo ha ordinato agli abitanti di Gaza di evacuare la zona settentrionale, nella quale si presume avverrebbero gli scontri più cruenti. Si tratterebbe infatti di “ripulire” una grande città densamente costruita nella quale i combattimenti di qualsiasi tipo presenterebbero una serie di sfide tattiche uniche per entrambe le parti, ma che avrebbero conseguenze comunque devastanti per i civili coinvolti.

Vero è che l’addestramento per il combattimento nei tunnel è incluso in quello di base della fanteria per quasi tutte le truppe delle forze di difesa israeliane, ma l’ambiente a Gaza è tale che in presenza di rovine la fanteria sarebbe costretta ad arrampicarsi su detriti frastagliati di cemento e acciaio, procedendo a piedi perché questi rallentano o bloccano il movimento dei veicoli.

C’è poi il fattore evoluzione: in termini di urbanistica oggi Gaza è molto differente dal territorio lasciato da Israele nel 2005 dopo anni di occupazione, ed anche se nella Idf ci sono ancora comandanti che hanno combattuto in quei territori, le operazioni di studio dei cambiamenti comportano analisi preliminari dai tempi lunghi e dai costi alti, anche se rispetto ai combattenti di Hamas i soldati israeliani possono contare su reparti specializzati come l’Unità Yahalom, addestrata a trovare, liberare e distruggere tunnel, ossia addestrata nella guerra sotterranea. I soldati che ne fanno parte sono equipaggiati con sensori dedicati alla ricerca, radar di penetrazione del terreno, attrezzature di perforazione, radio e apparecchiature di navigazione progettate per l’uso in ambiente sotterraneo, apparecchiature termiche e una suite di droni volanti e terrestri per la mappatura dei tunnel. Una volta individuate le zone da colpire, con l’ausilio dell’aviazione usano munizioni che penetrano nel terreno come la bomba Gbu-28, che può penetrare 30 metri nel terreno o 10 nel cemento.

In fatto di combattimenti urbani, dopo quanto gli eserciti avevano imparato nella Seconda guerra mondiale, e seppure l’esercito americano abbia svolto un importante ruolo di supporto agli alleati Nato in alcune delle battaglie urbane più significative della storia militare recente, come a Mosul (Irak) per nove mesi nel 2016-2017, i combattimenti cittadini hanno dimostrato sempre di produrre enormi danni e causare molte vittime. E per densità abitativa e tipo di ambiente, una battaglia a Gaza potrebbe essere paragonata proprio a quella di Mosul, dove vennero persi oltre mille uomini dalle forze della coalizione, circa 7.700 combattenti dello Stato Islamico e un totale di 15.000 persone non belligeranti. Per fare un paragone bisogna considerare che l’intera Gaza si estende su un’area delle dimensioni poco più grandi della città di Bergamo (circa 45 kmq), ma ha una popolazione di oltre due milioni di persone delle quali oltre la metà è concentrata nella zona nord. Con una ulteriore difficoltà: Israele non combatte in uno scenario come questo da decenni, nei quali la tecnologia e le armi sono cambiate e così si materializzano i presupposti perché la guerra divenga ancora più sanguinosa.

Dal punto di vista pratico alcuni aspetti del combattimento in ambito urbano rimangono gli stessi indipendentemente dall’epoca o dalla regione: edifici, tunnel e altri ostacoli nascondono i difensori, le macerie ostacolano i veicoli e offrono ampie opportunità per organizzare trappole esplosive, i civili rimasti rappresentano una sfida per le forze intente a ridurre le vittime e una protezione per chi difende perché fornisce ai combattenti un modo per confondersi con la popolazione. Una misura efficace per misurare l’intensità e la difficoltà del conflitto a Gaza potrebbe essere il numero di munizioni esplose per metro di territorio conquistato e, stante la necessità di rifornimenti continui, l’intensità del combattimento causerebbe un numero maggiore di vittime, richiedendo più truppe di quante ne servirebbero su qualsiasi altro terreno. Nel deserto le truppe di solito riescono a vedere il nemico arrivare e possono manovrare; le foreste, le giungle e le montagne mettono a dura prova le attrezzature e la logistica rendendo complessa la mobilità, ma una città è tutta un’altra cosa e secondo molti ex ufficiali Nato è la peggiore delle circostanze possibili. Soprattutto perché a differenza di un deserto o di una foresta, la città è un ambiente tridimensionale nel quale bisogna bonificare zone come fognature, tunnel e parcheggi sotterranei, mentre i corridoi creati da palazzi e grattacieli, le vie intricate, costituiscono passaggi obbligati e ostacolano i movimenti rapidi. In pratica tutte le difese di Hamas, dai piccoli droni dotati di granate agli attacchi suicidi, dai razzi nascosti nei tunnel finanche al ricorso a ostaggi e scudi umani, sono progettate con un unico obiettivo: guadagnare tempo. Così questa volta soltanto un approccio diverso da parte dell’Idf potrebbe portare a un risultato differente.

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