In Iran i più poveri cedono parti del loro corpo (compreso fegato, cornee, testicoli). Tutto legale, con tariffe calmierate. Un mercato agghiacciante che ora si diffonde anche in Afghanistan.
«Reni in vendita» oppure «Dono il mio rene. Gruppo sanguigno A+» si legge sui volantini scritti in farsi appesi ai lampioni o sui muri di diverse città iraniane, solitamente nelle vicinanze degli ospedali. «Il mio gruppo sanguigno è 0 negativo e ho 22 anni. Venderò il mio rene per 5 miliardi di rial (10 mila dollari). A causa di problemi finanziari, non ho altra scelta. Se vuoi il mio fegato ne venderò una parte per 2 miliardi di rial (4 mila dollari)» è il drammatico annuncio di un giovane iraniano consegnato al giornale Jahan-e-Sanat.
La crisi economica e l’iperinflazione hanno costretto le fasce più deboli e povere della popolazione a vendere i propri organi. Secondo la testata «i mediatori mandano i donatori pure nei paesi vicini come Emirati arabi, Turchia e Iraq dove cedono parti del loro corpo per cifre che variano dai 7 mila ai 15 mila dollari». La Repubblica islamica d’Iran è l’unico Paese al mondo che permette legalmente la vendita di un rene, grazie a una legge chiamata «dono compensato», con tariffe teoricamente calmierate e un rimborso governativo. In realtà gran parte delle trattative per cedere un organo sono private e si assestano in media sui 4 mila – 5 mila dollari. «Il commercio dei trapianti prende di mira i donatori impoveriti e altrimenti vulnerabili» afferma la Dichiarazione di Istanbul sul traffico di organi. Alessandra Pietrobon, docente di diritto internazionale all’Università di Padova, che faceva parte del comitato tecnico ad hoc, ammette che «non è stato facile negoziare la convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta al traffico di organi. E non mancano movimenti che sostengono la legalizzazione e libera vendita anche negli Stati Uniti».
Il portale d’informazione Insider.com ha raccolto dozzine di messaggi su Telegram, app utilizzata ampiamente in Iran, con offerte di organi. Una delle più scioccanti riguarda un giovane di 25 anni che mette in vendita «i testicoli, destro o sinistro (non ha importanza), gruppo sanguigno 0+, a causa di un debito». Un uomo di 33 anni offre cellule staminali, midollo osseo e addirittura una cornea «a causa di difficoltà finanziarie e bancarotta». Un altro vende un pezzo di fegato per 900 milioni di Rial iraniani, poco più di 21.300 dollari. Molti di questi annunci sono assurdi e non arriveranno mai a un trapianto. «Non prelevi una cornea da persone viventi. Non posso credere che verrebbe fatto qualcosa del genere» spiega Gabriel Danovitch, esperto di Trapianti alla Scuola di medicina di Los Angeles.
Uno studio relativo «al mercato dei prezzi per i reni» del 2022 pubblicato sulla rivista scientifica Transplant international apre un attendibile squarcio sulle «donazione» a pagamento in Iran. I dati sono stati forniti dalla Fondazione del rene di Mashad, la seconda città iraniana, riconosciuta dal governo come altre associazioni simili che nella repubblica islamica favoriscono accordi e trapianti. «I numeri confermano che sono pochi i casi di donazione altruistica del rene» si legge nello studio. Su 416 trapianti il costo medio dell’organo è stato di 4.400 dollari in valuta locale. «Un donatore più giovane può ottenere un aumento di prezzo per ogni anno di differenza», che però si assesta su una cifra minima di «100 mila rial iraniani, circa 3,25 dollari». Secondo dati governativi, in Iran una media di 1.480 persone riceve ogni anno un rene da donatore vivente (il 55 per cento del totale di trapianti nel paese). E la maggior parte l’ottiene da individui con cui non hanno alcun grado di parentela (succede nel 79,6 per cento dei casi, secondo una ricerca uscita anni fa sul Clinical Journal of the American Society of Nephrology), quindi per soldi. Beni Sabti, un esperto del regime iraniano all’Istituto di strategia e sicurezza di Gerusalemme, sostiene che questo mercato «va avanti da molti anni, ma recentemente sta aumentando a causa del costo della vita».
Non sempre sono storie a lieto fine, per così dire. Il quotidiano inglese The Guardian ha raccontato dalla città di Ahvaz la vicenda di Ghaffar, bisognoso di trapianto, che aveva chiamato 72 venditori del proprio rene grazie agli annunci sui social o apparsi fuori dal principale ospedale della città. Quasi tutti risultavano incompatibili o il donatore era in precarie condizioni di salute. A un certo punto Ghaffar trova un possibile candidato che passa tutti i test e si fa dare un congruo anticipo. Ma tre giorni prima dell’intervento fa perdere le proprie tracce. Alla fine appare Narin, una donna che può donargli un rene e si accorda per 4.500 dollari. Dopo l’intervento, però, Ghaffar ha una crisi di rigetto e non sopravvive.
In Iran, per prevenire il turismo dei trapianti, chi riceve un organo deve avere la stessa nazionalità dei donatori. E per gli stranieri è vietato cedere un rene, a parte i rifugiati che arrivano dall’Afghanistan. Ufficialmente sono meno di 800 mila, ma gli illegali senza documenti sarebbero oltre due milioni. «Gli afghani vengono considerati alla stregua di schiavi che fanno i lavori più umili. Non mi stupirei se fossero un “serbatoio” di organi» fa notare Francesco Ippoliti, generale della riserva ed ex addetto militare a Teheran.
In Afghanistan il commercio dei reni è aumentato dopo l’arrivo dei talebani a causa della crisi economica che ha allargato la fascia di povertà. Non a caso nella provincia di Herat, al confine con l’Iran, è diventato famoso «il villaggio dei reni». A Sayshanba Bazar dozzine di residenti hanno venduto i loro organi, anche durante la presenza del contingente italiano. Cinque fratelli hanno ceduto il proprio rene, uno all’anno, ma «siamo ancora indebitati e poveri come prima» racconta Ghulam Nebi all’ Afp, l’agenzia di stampa francese. Nooruddin, 32 anni, nell’area di Khwaja Koza Gar, mostra la cicatrice sul dorso dove è avvenuto l’espianto. Al mese guadagnava l’equivalente di 30 dollari e ha venduto l’organo in cambio di 1.500, essenziali per la sopravvivenza della famiglia. «Mio marito non trova lavoro. Ho dovuto cedere un rene per 2.700 dollari» ha detto Azyta che non aveva abbastanza soldi per sfamare i tre figli. Anche il marito voleva fare la stessa scelta: «Sono in tanti che accettano questo sacrificio per disperazione».