Dall’Italia migliaia di tonnellate di scarti domestici «non riciclabili» sono arrivate nel Paese africano per essere smaltite in modo illecito. A finire nei guai in questo intrigo internazionale, oltre ai locali politici, alcuni responsabili dell’Agenzia per l’ambiente e anche diplomatici italiani.
Da un piccolo laboratorio per il trattamento di rifiuti plastici di Polla, in provincia di Salerno, partono due carichi per la Tunisia. Il primo, di 70 container, arriva nel villaggio agricolo di Moureddine, dove l’azienda locale che avrebbe dovuto riciclare i rifiuti trasformandoli in tubicini di plastica ha affittato un hangar, ma finisce in fumo a causa di un incendio. Il secondo, di ben 212 container con 7.900 tonnellate dello stesso materiale, resta bloccato nel porto di Sousse, dove è approdato dal molo di Salerno con un trasporto speciale della società turca Arkas.
I doganieri tunisini sospettano che i container non contengano rifiuti «non pericolosi», come dichiarato nei documenti di trasporto, ma rifiuti domestici «indifferenziati non riciclabili», da smaltire in inceneritori o discariche. Stando alle convenzioni internazionali, quindi, la spedizione della salernitana Sra, letteralmente Sviluppo risorse ambientali, per le autorità tunisine è da considerarsi illecita. Le indagini in Tunisia e in Italia vanno avanti in parallelo. In Tunisia ci sono alcuni arresti. Finiscono nei guai l’ex ministro tunisino dell’Ambiente, Mustapha Laroui, il suo capo di gabinetto, i direttori dell’Agenzia nazionale per la gestione dei rifiuti (Anged) e di quella per la Protezione dell’ambiente (Anpi), ma anche tre funzionari della dogana, il responsabile di un laboratorio di analisi e uno spedizioniere.
Per Tarek Saied, il magistrato di Sousse che si occupa dell’inchiesta, sono tutti accusati di aver favorito l’arrivo di 7.900 tonnellate di rifiuti non riciclabili sul suolo tunisino. Ma la stampa tunisina pubblica indiscrezioni sul coinvolgimento di rappresentanti del corpo diplomatico italiano. Mentre il proprietario della società tunisina che avrebbe dovuto riciclare i rifiuti, Mohamed Moncef Noureddine, diventa irreperibile una decina di giorni prima del mandato d’arresto e, pare, abbia trovato rifugio in Germania.
In Italia, invece, due Procure, quelle di Salerno e di Potenza, mentre cercano di ricostruire l’intrigo, sbattono contro pesanti criticità diplomatiche e di politica giudiziaria internazionale. Le istituzioni tunisine non collaborano. Il primo «niet» è arrivato durante una videoconferenza del 15 dicembre 2021. «Le autorità giudiziarie tunisine» ha spiegato il capo della Procura di Salerno Giuseppe Borrelli «non hanno ritenuto di fornire informazioni dettagliate sui soggetti coinvolti nelle loro indagini, riservandosi di trasmettere copia degli atti».
A parti invertite, però, la Tunisia ha preteso il rientro dei rifiuti in Italia. È ancora Borrelli a spiegare che «la Regione Campania ha preso contatti con la Tunisia, dopo pressioni da parte della Tunisia, per la restituzione dei container». E siccome nel delicato momento dell’inchiesta era importante analizzare quei rifiuti prima che arrivassero in Italia, i magistrati avevano chiesto a Tunisi di poter partecipare almeno alle operazioni di caratterizzazione del materiale con un loro consulente. «Anche su questo i tunisini si sono riservati di fornirci una risposta» prosegue il capo della procura.
Risposta che, però, non è mai arrivata. Al contrario dei rifiuti, che dopo mesi di pressing da Tunisi sono tornati nel porto di partenza, quello di Salerno, e creano non poca preoccupazione nei cittadini dei comuni che se li ritroveranno in discarica. Non solo: i conti non sembrano tornare. Il carico, che doveva contare 212 cassoni, ora ne ha uno in più. Un pasticcio che ha preoccupato i legali della società salernitana, gli avvocati Giorgio e Francesco Avagliano, che denunciano: «Di container ne sono tornati 213, senza che nessuno dall’Italia abbia mai potuto assistere ai controlli e alla rottura dei sigilli».
Intanto la società turca incaricata del trasporto e del noleggio dei container, stando a una ricostruzione di Irpimedia, avrebbe inviato una richiesta di risarcimento da 10 milioni di euro alla Regione Campania e al ministero dell’Ambiente per la permanenza dei container al porto di Sousse. «Spese che non intendiamo pagare» ha dichiarato il vicepresidente della Regione Campania Fulvio Bonavitacola. Più di qualcosa nella macchina della diplomazia come in quella giudiziaria si è inceppata, a discapito delle istituzioni italiane. Nonostante esista un trattato di cooperazione giudiziaria tra i due Paesi. «Io credo che la Tunisia abbia semplicemente l’interesse a liberarsi dei rifiuti, non credo sia sensibile allo svolgimento di indagini nei confronti della società italiana» ha affermato candidamente Borrelli.
E così è stato. Il carico è stato rispedito in Italia, ma senza informazioni utili a ricostruire l’ipotizzato traffico illegale. Lo stesso sembra essere accaduto con la Procura di Potenza, dove si è definitivamente radicata la competenza territoriale e a occuparsi del fascicolo è un magistrato con esperienza nel traffico di rifiuti, il pm Vincenzo Montemurro, che, proprio come il collega di Salerno, per mesi ha aspettato gli esiti di una rogatoria internazionale. Puntualmente disattesa dalle autorità della mezzaluna rossa.