Una recente operazione antimafia ha portato all’arresto di 23 persone nella regione in cui inquinamento ambientale, narcotraffico e corruzione s’intrecciano. La ‘ndrangheta ha gestito un traffico di rifiuti nel più grande distretto dell’industria conciaria italiana, che vale 2 miliardi di euro ed è da sempre vicino alle stanze del potere politico. Ma la ragnatela di attività della malavita si estende anche al porto di Livorno, importante snodo per l’ingresso e lo smistamento per la droga, e all’apparentemente insospettabile zona di Lucca.
«Negli anni Novanta vivevo fra Livorno e Pisa. Si stava bene: facevamo grandi affari per la realizzazione di strade, bretelle, superstrade. E molto spesso entravamo a stretto contatto anche con le istituzioni pubbliche…». A parlare, in esclusiva con Panorama, è Luigi Bonaventura, ex boss di ‘ndrangheta e oggi noto collaboratore di giustizia. «Quello che è successo non mi sorprende affatto» aggiunge laconico.
Il riferimento è alla recente operazione antimafia condotta dalla Procura di Firenze che ha portato all’arresto di 23 persone in relazione a tre indagini collegate tra loro in materia di inquinamento ambientale, narcotraffico internazionale ed estorsione, da cui emerge il collegamento anche con la ‘ndrangheta.
Una rete di potere criminale, all’interno di cui ha avuto grande spazio il traffico illecito di rifiuti. Dalle carte della procura emergono pesanti accuse nei confronti dell’Associazione conciatori di Santa Croce sull’Arno (Pisa), che lavora pelli per l’alta moda italiana. Si tratta di un distretto che conta 500 aziende, 6.500 occupati e fatturati complessivi da oltre 2 miliardi di euro. Secondo gli inquirenti, gli scarti della lavorazione sarebbero finiti nei canali senza alcun trattamento. Nelle carte si parla espressamente di inquinamento ambientale «cagionato dai gestori dell’impianto di depurazione Aquarno (anche loro indagati, ndr) a causa dell’abbandono incontrollato dei rifiuti depositati». Secondo l’accusa, non sarebbero stati tracciati ogni anno in entrata 80 mila tonnellate di rifiuti e in uscita oltre 200 mila. Si parla di scarti pericolosi e cancerogeni che contengono le ceneri frutto della lavorazione delle pelli (Keu).
Residui usati da alcune aziende legate alla ‘ndrangheta anche come materiale per la realizzazione di strade – nella fattispecie, la strada regionale 419 nel lotto che collega Empoli a Castelfiorentino – centri commerciali, lottizzazioni edilizie. Nel sistema, però, niente viene lasciato intentato. Compreso il centro sportivo della Fiorentina, in costruzione a Bagno a Ripoli: una ditta coinvolta nell’operazione sarebbe voluta entrare nell’affare.
Mentre emergono altri dettagli inquietanti, la ramificazioni di interessi malavitosi in Toscana fa paura. Al centro del «sistema» ci sarebbero infatti famiglie ‘ndranghetiste di peso. Uno degli indagati è Francesco Lerose, indicato come «imprenditore a disposizione della cosca Grande Aracri» assieme alla moglie e al figlio, «in stretto contatto con gli affiliati della cosca» e in particolare con Gaetano Lerose, suo cugino, «da cui prendevano ordini e a cui si mettevano a disposizione nell’interesse della cosca stessa per riciclarne o occultarne i proventi». Fra le numerose collaborazioni quelle con la ditta Cantini, controllata dalla cosca dei Gallace di Catanzaro, a loro volta alleati dei Grande Aracri: per occultare e gestire il Keu, i primi avrebbero ceduto ai secondi «a titolo gratuito o a prezzo meramente simbolico» i rifiuti come se fossero materiale inerte «da impiegare per sottofondi».
Il fenomeno criminale fa ancora più scalpore perché lambisce le stanze del potere. A essere indagati – non per reati connessi all’associazione mafiosa, ma più prosaicamente per corruzione – sono anche due personalità di spicco del Pd: Ledo Gori, capo di gabinetto prima del presidente della Regione Enrico Rossi e poi riconfermato da Eugenio Giani (il quale non è indagato e che l’ha sollevato dall’incarico dopo l’inchiesta); e Andrea Pieroni, consigliere regionale ed ex presidente della Provincia di Pisa.
Gori – che respinge ogni accusa – sarebbe stato, secondo quanto annotato dal giudice Antonella Zatini, l’uomo di fiducia dell’associazione a delinquere finalizzata ai reati ambientali: dai vertici dell’Associazione conciatori e dalla sindaca di Santa Croce sull’Arno Giulia Deidda (indagati proprio per questi reati) «veniva formulata la promessa a Ledo Gori di utilità di carriera […] promessa accettata dal Gori in cambio della sua totale disponibilità ad assecondare le richieste dei vertici del sodalizio criminoso in materia ambientale».
Pieroni invece è indagato perché avrebbe presentato nella scorsa legislatura regionale un emendamento in materia di scarichi e autorizzazioni ambientali del quale «non conosceva il contenuto tecnico […] dietro la promessa di 2-3 mila euro da erogarsi in concomitanza con la campagna elettorale» delle Regionali del 2020. L’emendamento – bocciato dalla Corte costituzionale – sarebbe passato per l’Aula senza prima l’esame in Commissione. Chi era il presidente del consiglio regionale allora? Eugenio Giani. Ed è proprio Giani che, secondo una denuncia di Fratelli d’Italia, dovrebbe chiarire un altro aspetto: l’Associazione conciatori, infatti, risulta il secondo maggior finanziatore (8 mila euro) proprio della sua campagna elettorale. «Come sempre è necessario aspettare che la Giustizia faccia il suo corso, ma i politici coinvolti dovrebbero in autonomia chiarire le proprie posizioni. Quest’inchiesta getta un velo di sospetto su tutta la Toscana» riflette appunto il consigliere FdI Francesco Torselli.
La retata delle scorse settimane è solo l’ultimo tassello di un interesse crescente della criminalità in Toscana. Profondamente toccato dalle mafie è infatti il porto di Livorno, crocevia del narcotraffico internazionale gestito ancora una volta dai Gallace. L’ultima operazione è partita dal ritrovamento rocambolesco, nel maggio 2017, di una decina di zaini che contenevano cocaina nelle acque su cui affaccia la celebre Terrazza Mascagni. D’altronde, del porto di Livorno si parla anche nell’ultima relazione antimafia come di «un importante snodo per l’arrivo e lo smistamento di rilevanti quantitativi di stupefacente, specialmente della cocaina proveniente dal Sudamerica». Non solo. Diverse operazioni hanno dimostrato che «’ndrangheta, albanesi, ma anche altre organizzazioni criminali utilizzano lo scalo livornese come alternativa privilegiata ad altri porti come Gioia Tauro e Genova». Qualche esempio? Nel febbraio 2020 sono state sequestrate 3 tonnellate di cocaina nascoste in un container a bordo di una nave con bandiera delle Isole Marshall. Pochi mesi più tardi (in aprile), altre tonnellate, altro container, questa volta a bordo di una nave cargo con bandiera liberiana «proveniente dal porto colombiano di Cartagena, che prima di approdare a Livorno aveva fatto scalo in Spagna, nel porto di Algeciras e a Malta».
La ‘ndrangheta però sa allungare le sue mani nelle zone più insospettabili. Come la ricca provincia di Lucca. «Da decenni sono presenti i cirotani» racconta ancora Bonaventura a Panorama. «Si occupano di edilizia, ma anche di commercio d’arte». C’è anche la camorra dei Casalesi. A inizio 2021 un’altra clamorosa operazione delle forze dell’ordine ha toccato la Toscana: 34 provvedimenti cautelari e sequestri per 8 milioni di euro. Al centro, un complesso sistema di riciclaggio e falsa fatturazione tramite ditte impiegate nell’edilizia. Aziende che – attraverso appalti e subappalti pubblici – si erano fatte largo in importanti commesse: a Firenze, il museo degli Innocenti o la nuova sede di Toscana energia, mentre a Pisa, un polo didattico all’università. Secondo l’accusa ci sarebbe stata una vera «holding occulta di società strettamente correlate tra loro». Il fine era destinare i proventi «a favore delle casse dell’organizzazione camorristica denominata clan dei Casalesi», in particolare alla fazione dei boss Michele Zagaria e Francesco Schiavone. I numeri uno dei Casalesi, oggi in carcere, che per decenni hanno concluso affari in mezza Italia.
«Qualsiasi cosa si stia facendo, evidentemente, è troppo poco» aggiunge Torselli. Effettivamente, come dice ancora l’ex boss Bonaventura, «la Toscana è la regione lavatrice d’Italia, vista la ricchezza diffusa. Ma se ne parla poco: dove ci sono grossi affari non si spara, non si uccide, non si fa rumore».
Si vive bene. Intanto la malavita prospera. Forse anche per questo FdI aveva chiesto in Regione di istituire una commissione antimafia. «Ma il Pd bocciò la richiesta e sapete con quale motivazione?» aggiunge Torselli, «Perché “stavano già facendo tutto ciò che doveva esser fatto”. Ecco, l’approccio è totalmente sbagliato: pensare di aver già fatto tutto il possibile. Perché contro queste mafie non è mai sufficiente».