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Messico: 30.000 donne scomparse in un massacro senza fine

Messico: 30.000 donne scomparse in un massacro senza fine

Quattromila sono state uccise nel 2019 (tragico record mondiale dei femminicidi). E di altre decine di migliaia si è persa ogni traccia. Ecco perché le messicane hanno proclamato il primo «sciopero in rosa».


«Siamo stanche di venire squartate e violentate. Lo sciopero del 9 marzo scorso è stato solo l’inizio per far capire agli uomini che governano la politica, la giustizia e i mass media che il Messico, senza donne, non può esistere». Maria, 29 anni, appartiene al collettivo Brujas del Mar (Le Streghe del Mare) di Veracruz, ma rappresenta la punta dell’iceberg della rabbia delle donne che, esasperate dai femminicidi, hanno bloccato il Paese in quella che è stata battezzata la prima «giornata senza donne» in Messico. «Nessuna di noi è andata a lavorare, nessuna bambina è andata a scuola. Ora vediamo se fanno qualcosa, altrimenti ripeteremo gli scioperi con maggiore intensità» spiegano irritate le associazioni di donne che, appoggiate dalle principali attrici, politiche e sportive, hanno paralizzato Città del Messico e tutti i principali centri.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il massacro di Cecilia Aldrighett, una bambina di 7 anni ritrovata morta il 15 febbraio scorso dopo essere stata sequestrata da una coppia di orchi all’uscita da scuola, ma l’ispirazione è arrivata dal film Un giorno senza messicani, che nel 2004 immaginava gli Stati Uniti senza manodopera latina. Quella era fiction mentre, ora, le messicane hanno incominciato a incrociare le braccia sul serio. Claudia Sheinbaum, sindaco della capitale Città del Messico, ha appoggiato lo sciopero: «Stiamo facendo di tutto perché, anche in caso di futuri blocchi da parte delle nostre concittadine, non ci sia nessuna rappresaglia da parte dei datori di lavoro», nel 90 per cento maschi. «In Messico muore ammazzata una donna ogni due ore, una situazione vergognosa, peggiore anche dell’Afghanistan» denunciano i membri della storica associazione «Nuestras Hijas de Regreso a Casa», composta da famigliari e amici delle donne massacrate a Ciudad Juarez e fondata da Marisela Ortiz, uccisa qualche anno fa solo perché chiedeva che l’assassino di sua figlia, noto alle autorità di Chihuahua, venisse arrestato. Non ottenne giustizia, fu anzi uccisa, come migliaia di altre, nell’indifferenza delle istituzioni.

«I femminicidi registrati nel 2019 sono stati 4 mila» sostiene Nidia Rosales del collettivo Brujas Feministas (Streghe Femministe). «Un aumento del 7 per cento rispetto all’anno prima. In realtà, sono molti di più, basti pensare alle oltre 30 mila donne scomparse, desaparecidas». Negli ultimi tre mesi tre femminicidi in particolare hanno scosso l’opinione pubblica evidenziando chiaramente come sia la giustizia che i mass media e la politica siano una parte centrale del problema della mattanza delle donne in Messico.

Il primo caso è stato quello che ha coinvolto il fondatore di Amazon-Messico, Juan Carlos García, oggi latitante e ricercato dall’Interpol (sarebbe fuggito all’estero), per il femminicidio della ex moglie Abril Pérez Sagaón, avvenuto lo scorso 25 novembre. Il ricco manager aveva fatto uccidere la madre dei suoi figli da un sicario mentre lei si dirigeva in auto per tornare a Monterrey, città dove si era rifugiata per sfuggire dalla violenza del suo carnefice. Un delitto avvenuto sotto gli occhi dei figli adolescenti, compresa Ana Cecilia che, per questo, è stata una delle ragazze simbolo della «giornata senza donne».

A scandalizzare l’opinione pubblica è stata anche la notizia che, pochi mesi prima, il manager avesse già tentato di uccidere Abril nel cuore della notte con un coltello da cucina. Svegliatasi per le urla di Ana Cecilia, Juan Carlos aveva tentato di finirla con una mazza da baseball. Salvatasi per miracolo, Abril aveva ottenuto il divorzio e denunciato il marito che, sino ai primi di novembre, era stato in carcere. Era tranquilla e protetta, finché il giudice Federico Mosco González ha improvvidamente scarcerato l’uomo con una cauzione milionaria. Incredibile la motivazione: «Visto che la donna dormiva, se lui avesse voluto davvero ucciderla lo avrebbe potuto fare tranquillamente».

Mosco González – già noto a Città del Messico per aver rilasciato, sempre a fronte di una super cauzione, un medico che aveva stuprato una paziente nel 2018 – è ora indagato. Intanto però Abril è morta, proprio mentre migliaia di messicane protestavano contro il femminicidio, perché il 25 novembre scorso era la giornata Onu contro la violenza sulle donne.

Se nel caso di Abril è stata la giustizia a finire sul banco degli imputati, l’efferato femminicidio di Ingrid Escamilla, 25 anni, uccisa domenica 9 febbraio a Città del Messico dal convivente ingegnere davanti al figlio 15enne autistico di lui, ha messo sott’accusa mass media e dipendenti pubblici. Già, perché persino nella «macelleria messicana», che alle violenze in stile Isis è abituata, questo non è stato solo «un femminicidio in più». E ciò per due motivi. Innanzi tutto, prima di scendere in strada e consegnarsi alla polizia coperto di sangue, il compagno ha squartato il corpo di Ingrid, estraendole gli organi e scuoiandola. Il secondo motivo è che le immagini dei resti della donna massacrata sono finite sulla prima pagina de La Prensa, con il titolo «È stata colpa di Cupido», quasi a giustificare con l’amore uno scempio che ne rappresenta l’esatta negazione.

Le immagini shock hanno tappezzato così le edicole di Città del Messico. In questo modo Ingrid è stata uccisa due volte e lo Stato è responsabile del fatto che, mentre le madri accompagnavano i figli a scuola, i bambini si siano trovati a guardare immagini raccapriccianti. «Una diffusione che ha avuto come unico obiettivo rendere “normale” agli occhi della società la violenza contro le donne» denunciano le femministe. A vendere gli scatti pubblicati da La Prensa sono stati funzionari dell’Istituto di medicina legale che avevano proceduto all’autopsia di Ingrid.

Purtroppo in Messico è prassi, anzi prospera da decenni, un’indecente compravendita di immagini truculente di vittime dei narcos decapitate o con gli arti tagliati, molte delle quali donne. Sdegnate, migliaia di giovani ragazze coetanee di Ingrid hanno protestato anche sotto il palazzo dove vive il presidente Andrés Manuel López Obrador. «Gli chiediamo un maggiore impegno» ha detto una di loro che in mano reggeva un cartello con su la scritta «Non una di meno». Per ora risultati zero, a parte un progetto di riforma del codice di procedura penale per introdurre pene severe, fino a 16 anni di carcere, per i dipendenti pubblici che filtrino ai media immagini di vittime di femminicidio.

A far decidere alle donne di fermare il Messico è stato però il massacro della piccola Fatima, sette anni. Anche in questo caso è stato chiamato in causa il presidente López Obrador, criticato per non fare nulla di concreto contro il fenomeno dei femminicidi. AMLO, come tutti lo chiamano nel Paese, ha sostenuto che dietro allo sciopero delle donne ci sarebbero «gruppi di opposizione che vogliono attaccare il governo», aggiungendo che «i conservatori sono già diventati femministi» e che «la destra e i suoi partiti politici sono coinvolti in questo movimento». Un errore madornale che potrebbe pagare molto caro, soprattutto un segnale evidente dell’impossibilità del presidente messicano di fornire protezione alle sue concittadine.

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