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Quelle madri surrogate sotto le bombe a Kiev

Quelle madri surrogate sotto le bombe a Kiev

L’Ucraina è uno dei pochi Stati dove la «gestazione per altri» è legale. Così tante coppie infertili italiane si rivolgono a queste mamme. Che però ora, in gravidanza o con i neonati, sono isolate nei bunker e bloccate dalla guerra. E anche raggiungerle per farle arrivare nel nostro Paese è quasi impossibile.


Viola ha 39 anni e ha trascorso gli ultimi cinque a provare ad avere un figlio, finché ha scoperto che non sarebbe stato possibile. Così, poco più di un anno fa, con il marito Piero ha deciso di rivolgersi alla Biotexcom, una delle cliniche per la riproduzione assistita più conosciuta d’Europa, con sede a Kiev e con centri d’analisi affiliati anche nel nostro Paese.

L’Ucraina è uno dei pochi stati al mondo in cui la «Gestazione per altri» (Gpa) è legale. Grazie ai costi moderatamente contenuti, è diventata punto di riferimento di coppie con problemi di fertilità. Così, per quanto poco se ne parli, sotto le bombe della guerra ci sono anche loro: i neonati di madri surrogate. E in Italia, ad attenderli, dei genitori nel limbo. Proprio come Viola. «Siamo riusciti a metterci in contatto con la madre surrogata» racconta «e le abbiamo offerto ospitalità qui in Italia. Purtroppo non riesce ad arrivare al confine ucraino. Siamo disperati».

In situazioni simili decine di mamme e papà, conferma l’avvocato Giorgio Muccio, esperto del fenomeno: «Il problema più urgente è relativo alle coppie che non sono riuscite a partire per l’Ucraina. La preoccupazione è per il destino che potrebbe avere il neonato». La legge, continua l’avvocato, prevede che il piccolo sia affidato alla madre surrogata «a meno che la stessa non dovesse trovarsi in clinica». Per questo la Biotexcom ha pubblicato sui social un video in cui alcune infermiere si prendono cura di piccoli infagottati nel bunker che si trova nei sotterranei della clinica e stipato di culle, latte in polvere, pannolini. «Tante altre future mamme invece sono isolate e non possono raggiungere la clinica» dice Muccio che, andando oltre ai propri doveri di legale, ha stretto un contatto con un sacerdote a Leopoli per fornire assistenza anche materiale – un tetto sulla testa e un pasto – alle donne in fuga verso l’Italia.

Fare una stima del fenomeno è complesso, soprattutto perché fino a oggi è rimasto poco visibile. «In genere io vengo contattato in caso di problemi. Nelle ultime due settimane ho ricevuto oltre dieci richieste d’aiuto» dice Muccio. Con una valutazione globale, si può dunque parlare di centinaia di coppie italiane coinvolte. Tra loro anche un’altra futura mamma italiana – che chiameremo Silvia – la quale è riuscita a far arrivare in Italia la madre surrogata ucraina: «È una ragazza dolcissima e impaurita. È arrivata qui con sua sorella e suo figlio di 11 anni. Per noi non è un problema provvedere all’ospitalità: lo facciamo sia per quello che sarà nostro figlio sia per dare una mano in una situazione così disperata» racconta. Il fatto che sia arrivata con i familiari non sorprende, osserva Muccio: «Le donne in Ucraina, per poter candidarsi a madri surrogate, hanno come requisito di avere già avuto un figlio sano. Sia per un fatto clinico sia perché non ci sia un particolare attaccamento nei confronti del futuro bambino».

Attualmente la Biotexcom, che abbiamo contattato per avere novità sullo stato delle donne e dei neonati, non fornisce risposte. Tramite un messaggio WhatsApp al numero italiano che troviamo sul sito ci è stato detto semplicemente: «Non ne sappiamo nulla». Non è tutto. C’è anche chi, allo scoppio della guerra, si trovava già in Ucraina e ha dovuto immediatamente trovare riparo in ambasciata. «Sono stati giorni molto complicati, abbiamo pensato di morire» confessano alcune mamme contattate da Panorama che, vista la situazione profondamente delicata, preferiscono restare anonime. Delicata anche per quello che sarebbe accaduto proprio nella sede diplomatica e su cui, probabilmente, nelle prossime settimane sarà necessario fare luce.

Nei primi giorni di conflitto, infatti, diverse coppie, pur essendo riuscite a recuperare il loro neonato, avrebbero avuto pesanti difficoltà a ottenere il cosiddetto Etd, il passaporto temporaneo del minore. «La questione» spiega Muccio, impegnato nel supportare numerose famiglie «è nata perché senza consegna dell’originale atto di nascita (alcune famiglie avevano fatto in tempo solo a fotografarlo, ndr), con apostillazione da parte del ministero degli Interni ucraino, traduzione dell’atto di nascita e dell’apostille, i funzionari non possono rilasciare la documentazione necessaria».

Un cortocircuito burocratico che di fatto impediva ai bambini di lasciare il Paese, nonostante il conflitto. Addirittura alcune coppie, secondo quanto ricostruito da Panorama, sarebbero state invitate a recarsi nel bunker per reperire le carte necessarie, ma lasciare la sede dell’ambasciata per gli italiani sarebbe stato troppo pericoloso. La situazione è poi presto peggiorata: «Negli ultimi giorni di febbraio» ricostruisce Muccio «alcune coppie mi hanno contatto parlandomi di scarsità di acqua e cibo, oltre alla presenza di 120 persone asserragliate in ambasciata». Una condizione drammatica, risoltasi solo la scorsa settimana, quando le istituzioni hanno rilasciato il passaporto temporaneo, con cui le famiglie hanno raggiunto in pullman il confine moldavo, da qui poi la Romania e infine l’Italia. Un sospiro di sollievo per famiglie che adesso – e finalmente – si sentono al completo, anche se ora comincerà la gimcana burocratica: «La maternità surrogata in Ucraina prevede tre condizioni: che la coppia sia sposata, che almeno uno dei componenti fornisca il materiale biologico (nel 99 per cento dei casi il marito, ndr) e che ci siano ragioni sanitarie reali, come problemi all’utero o a impedire la gravidanza» precisa Muccio. Quando vengono rispettate queste condizioni si può procedere con la gestazione, ma ovviamente tutto deve verificarsi sotto il nome del genitore biologico.

«La madre surrogata solitamente fa poi una dichiarazione che legittima il padre a tornare in Italia con il bambino, cui segue una documentazione tramite la quale acconsente all’adozione da parte della moglie del padre biologico» aggiunge Muccio. Un iter che ora è sempre più complicato da garantire, e apre la strada a diverse opzioni che atterriscono i genitori, fra cui il rischio di non abbracciare mai più il proprio figlio. Un po’ come i genitori del piccolo la cui nascita è attesa per il 19 marzo. Da giorni non riescono ancora a mettersi in contatto con la madre surrogata. L’obiettivo, ancora una volta, sarebbe quello di incontrarla ai confini ucraini e quindi portarla in Italia, per poi assisterla durante la gravidanza. Una speranza che appare tenue fra le bombe russe e la complessa burocrazia italiana.

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