Molte periferie francesi sono ormai fuori controllo. Ma, al di là dell’ordine pubblico in pericolo, a preoccupare è la negazione del problema. Che, per un malinteso garantismo socioculturale, non distingue più tra immigrazione e delinquenza. Intanto in Italia, da Torino a Napoli, si registrano segnali di un malessere analogo.
Non sono ancora le sei del pomeriggio a Poissy, negli Yvelines, area metropolitana di Parigi, quando in rue de Villiers qualcuno chiama la polizia. Una volta sul posto, la pattuglia è disorientata, non c’è alcuna emergenza. Poi l’agguato. La pioggia di pietre e oggetti non meglio identificati sugli agenti, al grido di «Uccidili! Uccidili!». Aggressioni con esplosivi, fuochi d’artificio (l’ultima moda tra le gang d’Oltralpe), auto in fiamme, accoltellamenti sono ormai la quotidianità per le forze dell’ordine, di cui l’episodio appena raccontato, avvenuto ai primi di marzo, è un solo un esempio eclatante.
In Francia è in corso una guerra contro di loro, ma nessuno può dirlo. Il ministero dell’Interno solo a gennaio 2021 ha registrato 2.288 incidenti catalogati come «uccidi lo sbirro». Il viaggio nelle banlieue francesi parte dalla denuncia del malessere dei quartieri radicalizzati, stampata sulle facciate dei palazzi, tra omaggi agli attentati e un inneggiare molto esplicito contro le forze dell’ordine: «Merah!»; «Charlie Hebdo!»; «Il poliziotto buono è quello morto»; «Bruceremo la Squadra narcotici!».
I «territori perduti», così li definì Gérard Collomb, il socialista saggio, sindaco di Lione per 17 anni, tutore e guida dell’avventura politica di Emmanuel Macron fin dai primi vagiti, che nel 2018 lasciò il ministero dell’Interno sbattendo la porta: il suo governo aveva ignorato quella che egli stesso definì «l’urgenza di una riconquista repubblicana». Non poté assecondare questa miopia.
Battaglie combattute con coltelli e mazze da baseball, agguati selvaggi, video di linciaggi di adolescenti postati sui social fomentare l’odio. La situazione di immense aree in degrado perché abbandonate alla giurisdizione islamica è scoppiata da tempo tra le mani del presidente francese. Nel Paese siamo abbondantemente alla terza generazione di immigrati, soprattutto islamici sunniti: è la prima nazione per popolazione islamica in Europa occidentale. Nel 2005 la rete di intelligence nazionale identificò 150 «zone vietate».
Numeri che lasciano il tempo che trovano, considerato che in Francia sono particolarmente forti le resistenze a fare uso della variabile dell’«affiliazione religiosa» nelle statistiche ufficiali. Nel 2014, Fabrice Balanche, noto analista di Medio Oriente, etichettò Roubaix e Marsiglia «mini Stati islamici». Espressione che indica tutti quei territori nazionale occupati letteralmente dall’islam, dove le leggi non sono più quelle della République. E in virtù di questo hanno dichiarato guerra alla polizia, ultimo baluardo contro un’ondata di negazione dell’autorità.
«Signor primo ministro, sono andato in tutti questi quartieri (a predominio islamico, ndr), da quelli settentrionali di Marsiglia a Mirail e Tolosa, fino a Corbeil-Essonnes, Aulnay-sous-Bois, Sevran (nella cintura periferica parigina, ndr); la situazione è degradata e l’espressione “riconquista repubblicana” dà l’idea, perché oggi, in tali aree, la legge degli islamici ha preso il posto di quella della Repubblica. La situazione è ingestibile». Così accusava in conferenza stampa Collomb, due anni fa. «Perché le autorità si sono arrese?» si domandava l’ex ministro, mentre si dava anche una risposta: «Perché il contesto ideologico ha prevalso per troppo tempo».
«Oggi in Francia c’è un autentico conflitto contro la polizia, che è combattuto su due fronti. Il primo è quello della strada: bande – generalmente delle periferie dove vivono immigrati – che aggrediscono persone, pattuglie e presidi. Bande generalmente legate al traffico di droga ma anche all’islam. Siamo davanti a una lotta territoriale il cui primo obiettivo è espellere le forze dell’ordine dalle zone dove vivono islamisti e trafficanti di droga».
Quando Panorama intervista Yves Mamou, intellettuale e saggista franco-tunisino, autore de Il grande abbandono, le élites francesi e l’islamismo, è entusiasta di poter parlare. «Il secondo fronte passa però dai media. Circoli culturali (a sinistra), giornalisti (a sinistra), circoli politici (a sinistra) accusano la polizia di razzismo sistematico ogni volta che la delinquenza (islamica o immigrata) si scontra con loro. È una situazione grave in cui lo stesso potere politico è sempre più tentato di partecipare alla denigrazione degli agenti. Ma se questi non sono in grado di esercitare la loro prerogativa, si scatenerà ancor più il caos».
A Le Havre, a Évreux, a Bordeaux, a Mantes-la-Jolie, a Chanteloup-les-Vignes, a Villeneuve-la-Garenne, a La Courneuve, a Trappes, a Grigny – tutte cittadine francesi, molte delle quali circondano Parigi, fortemente islamizzate con molte moschee e scuole islamiche – gli episodi di violenza urbana sono diventati quotidiani durante il primo «confinement» a causa della pandemia. Nel 2020, ogni giorno 20 funzionari sono stati feriti nei pattugliamenti e, da gennaio, 63 stazioni di polizia hanno subito attentati.
A Grenoble, città a sud-est della Francia, era il 2013 quando il sindaco di sinistra chiedeva che anche la polizia municipale portasse un’arma alla cintura. A Marsiglia, dopo una serie di sparatorie, il responsabile degli Interni Gérald Darmanin ha annunciato l’arrivo di 300 agenti di polizia in rinforzo nelle Bouches-du-Rhône, di cui 100 dal 2021. Lo scorso agosto un rapporto denunciava quasi 24.000 «no» a interventi da parte di polizia e gendarmi. Da gennaio ad agosto sono stati uccisi tre agenti in missione. Con una lettera allo Stato, anche l’Alliance (il sindacato della polizia francese) a fine aprile chiedeva allo Stato di recuperare i «territori perduti».
«Tutto ciò che si dice sulla questione banlieue io lo definisco “diniego genocida”, ovvero il silenzio sulla nuova colonizzazione della Francia e dell’Europa, la Grande sostituzione, di cui non si deve parlare, pena la persecuzione». A parlare è lo scrittore francese Renaud Camus, che dal 2010 denuncia il pericolo del «Grand remplacement», la neo-colonizzazione del Paese.
Le sue considerazioni gli sono costate diverse condanne per incitamento all’odio razziale. «La narrazione di questi attacchi come se fossero una serie sfortunata di eventi sociali è una chiara manifestazione del contrario». E aggiunge, non facendo sconti all’attuale lockdown che indubbiamente esaspera le tensioni: «Le reazioni disperate di una forza di polizia lasciata a se stessa sono solo l’inevitabile conseguenza».
In Italia le tensioni non raggiungono la drammaticità francese, ma si percepiscono chiaramente segnali che devono allarmare. Un ragazzino morto accoltellato a Formia un mese fa, un sedicenne ferito a Napoli, mentre a Desio, in Brianza, un altro giovane andava in giro con un machete. E poi risse, praticamente ogni fine settimana da Milano a Roma, da Prato a Napoli fino ad Agrigento, passando per Foggia. Spesso nei centri di accoglienza, ma non solo lì. Gli insulti alle forze dell’ordine sono la norma.
Un’insofferenza che non è esplosa all’improvviso: semplicemente il silenzio nei mesi di pandemia l’ha resa più evidente. A Torino nelle scorse settimane ci sono stati 37 arresti. Adolescenti, quasi tutti minorenni, tunisini e marocchini, immigrati di seconda generazione, che parlano italiano e frequentano la scuola – a differenza dei colleghi francesi che di imparare la lingua non sentono neanche l’esigenza. Identificati dopo alcuni mesi dalle devastazioni delle vie del centro.
E le parole del questore di Torino, Giuseppe De Matteis, non lasciano dubbi: c’è il rischio di ritrovarsi presto una banlieue simile a quella parigina. Una previsione preoccupata, che però quasi nessun media ha ripreso. I ragazzini arrestati sono per la maggior parte di Barriera di Milano, zona di 170.000 abitanti con il 13,4% di immigrati. A differenza della Francia, là, come nel quartiere Vasto di Napoli o a Castel Volturno, non si ha che fare con il radicalismo islamico o con l’isolamento culturale, o almeno solo in piccola parte. Di sicuro, però, si registra una perdita devastante nel senso delle regole.