Sono state aperte inchieste per migliaia di accessi illeciti agli archivi fiscali, da parte di funzionari della stessa Agenzia delle entrate. Per i responsabili non ci sono state gravi conseguenze. Ma ora si indaga su società di servizi che commerciano con queste notizie riservate.
Aogni accesso compare questa schermata: «La consultazione delle banche dati dell’Agenzia delle entrate può avvenire solo ed esclusivamente per finalità istituzionali e per ragioni strettamente connesse all’attività di servizio». Però, considerando i documenti prodotti da una frenetica attività investigativa interna all’ente diretto da Ernesto Maria Ruffini, sembra che quell’avviso venga spesso ignorato da chi ha la possibilità di accedere alle potentissime banche dati contenute nel sistema Serpico, lo stesso che interrogava dal suo ufficio alla Procura nazionale antimafia il luogotenente della Guardia di finanza Pasquale Striano, balzato alla ribalta delle cronache le settimane scorse. Le informazioni provenienti dalle consultazioni, poi, non si sa come, finiscono sui terminali di società private, pubblicizzate sul web con tanto di partner universitari e associazioni forensi, che le vendono a prezzi stracciati. Trattandosi di dati non alla portata di tutti, chi chiama queste aziende immagina che si parli a telefono con una certa cautela. E invece una voce gentile, come ha potuto verificare Panorama, guida il cliente tra le richieste e lo aiuta a mettere da parte qualsiasi imbarazzo. Il mercato delle informazioni sul contribuente funziona così, in modo che sembri tutto regolare. Basta spiegare che si stanno cercando notizie difficili da reperire e il gioco è fatto. Al cliente viene promessa la fornitura di qualsiasi dettaglio personale: dai più semplici, come rintracciare un domicilio o una residenza, ai più delicati, come i rapporti con istituti di credito e i movimenti patrimoniali. Ogni ricerca ha un prezzo: tra gli 80 e i 150 euro. Basta trovare un infedele funzionario dello Stato disposto a fare qualche ricerca. Il Settore contrasto illeciti dell’Agenzia delle entrate, che sta cercando di arginare quello che gli stessi funzionari di Ruffini definiscono «un sistema di illecita diffusione di dati», ha accertato che nei soli tre mesi monitorati sono state effettuate 17.501 ricerche su 9.418 persone. Le richieste più gettonate? Il «versamento unificato», dal quale si riescono a ottenere tutte le informazioni sulle tasse che paga un contribuente, le dichiarazioni dei redditi e perfino gli accertamenti subiti.
La storia che ora raccontiamo si muove su tre direttrici: una che parte dall’ufficio delle Entrate di Voghera, in provincia di Pavia, dove un legale chiacchierone deve aver spiattellato ai dipendenti di riuscire a ottenere «informazioni su soggetti privati, anche di carattere patrimoniale, pagando 80 euro»; un’altra trasmessa dalla Divisione contribuenti delle Entrate dopo un’ispezione del personale della Sezione territoriale Nord-est nella sede di una società che conservava «report» su varie aziende identici a quelli «acquisibili dalle banche dati in uso all’Agenzia delle entrate e alla Guardia di finanza»; una terza direttrici che riguarda un dipendente del Secondo ufficio della Direzione provinciale di Napoli, tale Arcangelo Seno, 68 anni, prossimo alla pensione. Tutte e tre le attività di accertamento interno all’Agenzia delle entrate confluiscono quindi in un unico fascicolo giudiziario affidato a un pubblico ministero della Procura di Napoli, Alessandra Cataldi, che per le indagini sul traffico illecito di dati delega i carabinieri della Sezione di polizia giudiziaria e quelli della Tenenza di Casalnuovo, nella provincia del capoluogo. Chi è entrato nelle banche fiscali dell’Agenzia, si scopre, ha quattro obiettivi in comune: tre aziende che si occupano di commercializzare carburante da autotrazione e un’impresa di costruzioni.
Molte delle ricerche, inoltre, non riguardano target di competenza degli uffici campani, ma si spingono in Veneto, Liguria, Lombardia, Emilia-Romagna, Lazio, Friuli-Venezia Giulia, Sardegna e Trentino. L’audit manager dell’Agenzia delle entrate Gianluca Di Filippo spiegherà in Procura che «i contenuti dei report in questione sono riferiti a dati riservati che non potevano essere per nessun motivo comunicati all’esterno». Alla fine, però, la maxi inchiesta giudiziaria, che nel frattempo si è arricchita delle scoperte interne fatte dai detective del Fisco, ha per ora partorito solo un topolino. Con un capo d’imputazione di sei righe è stato chiesto il rinvio a giudizio di Seno perché accusato di essersi «introdotto abusivamente nel sistema informativo effettuando una serie di accessi abusivi», tra cui quello per la posizione di un contribuente in particolare, un medico di Brescia, Franco Spedale, l’unico tra i quasi 9.500 spiati che se l’è sentita di depositare una querela, dopo essersi visto allegare la sua dichiarazione dei redditi («con i codici di accesso dell’operatore sbianchettati») dalla controparte in una causa civile. La sua querela è stata presentata a Brescia, ma l’incartamento è partito presto per Napoli, città in cui, si ritiene, si sia consumato il reato di accesso abusivo al sistema informatico. Dal fascicolo, nel frattempo, spuntano nomi di imprenditori, di professionisti, di commercianti. Oltre a quello di un vip: Giovanni Terzi, il giornalista e scrittore compagno di Simona Ventura.
Seno, il funzionario napoletano finito sotto inchiesta, si è difeso sostenendo che faceva le ricerche «su richiesta di colleghi del suo ufficio» dei quali, però, guarda caso, non ricorda i nomi. E ha liquidato il tutto come «un comportamento superficiale». Le indagini, d’altra parte, non hanno accertato passaggi di denaro tra le società che raccolgono informazioni e il dipendente dell’Agenzia delle entrate. Che non è il solo, però, a essere finito nel mirino della Direzione centrale (ma non della magistratura). Una manciata di nomi di dipendenti, tutti appartenenti alla Direzione regionale campana, sono passati sotto la lente d’ingrandimento degli uffici centrali del Fisco. Dopo un’accurata scrematura, però, oltre a Seno è risultato aver consultato le banche dati «in assenza di ragioni di servizio» soltanto un altro funzionario, che ufficialmente doveva occuparsi del controllo dei rivenditori di marche da bollo dall’ufficio di Casoria, sempre nel Napoletano, e che nel frattempo è andato in pensione. E sugli accessi abusivi, per ora, il caso è chiuso.
Resta invece da chiarire un aspetto per nulla secondario: gli intermediari, ovvero le agenzie, avrebbero venduto con una certa nonchalance dati derivanti da un illecito. «In via generale le informazioni tratte provengono esclusivamente da banche dati pubblicamente consultabili e da fonti di dominio pubblico» si è giustificata un’agenzia che, però, ha aggiunto: «In taluni casi ci rivolgiamo ad agenzie investigative regolarmente autorizzate dalla Prefettura». Un terzo livello sul quale ora gli inquirenti dovranno andare a fondo.