Alla vigilia del matrimonio d’interesse con Unicredit per uscire dal dissesto, i retroscena e le attuali tensioni che intrecciano la vicenda del monte dei paschi al luogo in cui ha prosperato. E dove sono state sprecate, in nome della cattiva politica, molte buone occasioni di sviluppo.
«Ciò a cui stiamo assistendo non è la crisi, bensì la crisi della crisi e cioè la nevrosi»; pare di sentirlo Mario Luzi, dolente, enorme poeta, ripetere quel giudizio mentre s’aggira in piazza Provenzano dove, fanciullo, viveva a Siena. A camminarla oggi appare vuota di turisti e mesta di botteghe chiuse, con le locandine dei giornali quasi listate a lutto per annunciare l’ennesima inchiesta aperta a Milano sulla banca. Qui, dove l’ironia è furente, la chiamano la «Morte dei Paschi di Siena». Un lutto collettivo. Tra pensionati e attivi non c’è famiglia che non abbia uno che dipende dal Monte: il domani è complicato. Lo racconta un’altra battuta che circola all’angolo dell’Unto dove tra il caffè Nannini e Rocca Salimbeni c’è il circolo delle ciane (pettegolezzi e intese, di loggia e di partito): «È come fare tombola alla “letteria”». Il riferimento è a Enrico Letta, segretario del Pd, che prova al casinò Montepaschi un all inn sperando di agguantare alle suppletive d’ottobre un seggio parlamentare. Questa sua mossa – e di mosse a Siena se ne intendono – ha scatenato un nuovo inferno dentro e attorno alla banca.
È la voce dell’Unto, e l’Unto non sbaglia. Sulla città veglia la Madonna che si venera nei quartieri di Provenzano Salvani, eroe di Montaperti. Estrema gloria di Siena, che vinta la battaglia il 4 settembre 1260, declinò. Ora come allora? Da due anni la Madonna di Provenzano non benedice la carriera del 2 luglio così come a Ferragosto non c’è stata quella dell’Assunta. Siena ha perfino sospeso il Palio: il più funesto dei presagi. Di Provenzano dice Dante nel Purgatorio: «Colui che Toscana sonò tutta e ora a pena in Siena sen pispiglia».
Chi è oggi? Forse Giuseppe Mussari, colui che tutto poteva e ha potuto – dicono i magistrati – distruggere il Monte dei Paschi fu Siena. Vive tra il paradiso di Agostoli, 5 chilometri dalla torre del Mangia e Catanzaro, terra d’origine dove è tornato a fare l’avvocato nello studio di Giancarlo Pittelli, plenipotenziario di Forza Italia in Calabria, agli arresti domiciliari da due anni. Aspettano entrambi sentenze. Mussari ha una condanna a sette anni e spiccioli a Milano, ha però all’attivo un’ assoluzione (per reati simili) con formula piena in appello a Firenze. Non parla, va a cavallo con Aceto (un mito del Palio) e aspetta. All’Unto scommettono che esce pulito e dentro la banca ha ancora amici: quelli che sbarrano la strada a UniCredit.
Perché a Rocca Salimbeni c’è profumo di vendetta. E allora chi è Provenzano? Di certo non Massimo D’Alema che ha cercato, in maniera meno ingenua di Piero Fassino, di dare alla sinistra una banca. Il leader maximo voleva imporre la scalata a Bnl in tandem con l’Unipol di Giovanni Consorte. A Siena lo accontentarono solo comprando Banca 121 e dando lustro a Vincenzo De Bustis pugliese. Neppure Luigi Berlinguer, detto «il cugino», vale Provenzano. Lanciò Mussari e dal suo scanno universitario per decenni ha provato facendo sponda con Botteghe Oscure a controllare la banca, ma niente da fare. Il Monte è sempre stato nella disponibilità dei soli cattocomunisti senesi. La spartizione era il comando ai democristiani, la clientela tutta per il Pci, e se volevi fare carriera dovevi essere della Cgil.
Arrivò per quella via Pierluigi Piccini, sindaco dal 1990 al 2001. Voleva farsi Provenzano, lo hanno scaricato, nel 2004 lo hanno cacciato anche dai Ds per fare posto a Mussari perché le tre «C» Fabio Ceccherini, Maurizio Cenni e Franco Ceccuzzi del fu Pci contavano di pilotare il giovane avvocato calabrese. Invece Mussari farà di testa sua comprando Antonveneta e il disastro del Monte. Storia consegnata alle aule di giustizia.
Oggi a Siena che resta? Macerie economiche e un non sopito orgoglio. Il ministro del Tesoro Daniele Franco – ora padrone della banca – ha detto che il Monte da solo non ce la fa, bisogna darlo a UniCredit. Ma i senesi non si fidano. Enrico Letta, che s’appoggia a Susanna Cenni, parlamentare di buona volontà (nella segreteria Pd) già assessore agricolo toscano, cerca voti tra i vignaioli.
Hanno le cantine e le scatole piene e gli hanno schierato contro uno che il vino lo fa davvero: Tommaso Marrochesi Marzi. Letta ha provato a dire: «Un piano per il Monte, la sinistra faccia autocritica, difenderemo la banca». All’Unto scuotono la testa. E incalzano: che Letta spieghi ai senesi perché Pier Carlo Padoan, eletto a Siena col Pd, da ministro del Tesoro Pd decise di nazionalizzare il Monte e oggi, da presidente UniCredit, vuole comprarsi la banca portandola via da Siena. Neppure Provenzano ci riuscirebbe, figurarsi Enrico Letta. Eppure UniCredit teme che il Monte sia ciò che è stata Antonveneta per Siena. Andrea Orcel, a.d. di piazza Gae Aulenti, ci va con i piedi di piombo e dei «nazionalismi» senesi non si cura.
Ha aperto la trattativa con il Tesoro (l’ultimo giorno utile è il 10 settembre) ma non vuole prendersi i debiti: vuole la gestione, le filiali, e pochi dei 28 mila dipendenti. Orcel ha un problema: se Padoan spinge per chiudere su Mps e dissolvere i fantasmi della sinistra, Leonardo Del Vecchio frena. E Del Vecchio di solito ci vede bene. All’angolo dell’Unto dicono che è il Tesoro che ha fretta anche se vendere a UniCredit (da lì arrivarono i presunti salvatori del Monte, Alessandro Profumo e Fabrizio Viola: sei anni in primo grado a Milano per la loro gestione a Siena anche se su quella sentenza ci sono giudizi tecnicamente critici) al contribuente italiano costerà 8-10 miliardi, e ci sono tanti esuberi, senesi compresi. Il Tesoro si è impegnato con Bruxelles a rivendere il Monte entro il 2021. Ma a Siena raccontano una storia un po’ diversa.
Quando Mussari si comprò Antonveneta, governatore della Banca d’Italia era Mario Draghi che spingeva per le aggregazioni bancarie. Poi c’era Massimo D’Alema con il gruppo dei «capitani coraggiosi»: Gnutti&Co, gli scalatori di Telecom che volevano disfarsi dell’Antonveneta. A Siena, anche se di Mussari «a pena sen pispiglia», c’è chi comincia a dire che fu cieco strumento di occhiuta rapina. E molto in città chiacchierano di un dossier di Andrea Minnella protocollato nel 2007 (n° 252248 del 9 marzo) a palazzo Koch, sparito e riemerso qualche settimana fa in Cassazione. Di certo non c’è un rapporto di causa effetto, ma uscito il foglietto si è accelerato sulla cessione a UniCredit. E perché ora che Enrico Letta deve farsi eleggere a pena di scomparire?
All’angolo dell’Unto raccontano che in banca qualcuno ha accelerato le pratiche per chiudere col Pd e usare Letta come un derivato. Se il Pd vuole coprirsi dal rischio costringa Draghi a chiedere in Europa una proroga per sistemare meglio il Monte. Per corroborare questa possibilità ecco che da Rocca Salimbeni esce il dato della semestrale con una redditività in crescita (col Tesoro che però insiste: il Monte è la peggiore banca europea negli stress test della Bce) e gli effetti positivi della cura di Guido Bastianini, l’a.d. Siena non vuole né può permettersi di perdere Rocca Salimbeni. Prometeia certifica che la città – anche causa pandemia – ha perso il 9,6 per cento delle unità di lavoro, il 2,7 del reddito, il 12,3 dei consumi e il 7,7 del valore aggiunto. Senza banca che fa?
C’è una sponda possibile: le biotecnologie avanzate. Però c’è un altro disastro del Monte da sistemare. Sono ancora in piedi il fallimento e l’inchiesta su Siena Biotech, 35 milioni buttati via. La Fondazione Montepaschi voleva fare il polo della biomedicina raccogliendo l’eredità della Sclavo, in epoca di pandemie sarebbe stato vincente. Siena Biotech è solo un contenitore che la Regione, e dunque il Pd, ha lasciato vuoto. Attacca il sindaco Luigi De Mossi, avvocato (tre anni fa ha «sfrattato» dopo 70 anni la sinistra dal Comune): «Il Governo si renda conto che la questione del Monte non è tecnica, ma sociale e politica. Draghi ci spieghi cosa vuole UniCredit. Si dia modo a questa banca, con una fusione o una ricapitalizzazione, di vivere. Respingo l’idea che Siena sia supina a qualsiasi decisione». Il Monte è Siena e Siena è dei senesi. Direbbe in versi Mario Luzi: «Non arrenderti, non per meno della gioia».