Non è soltanto la prima economia al mondo in termini di parità di potere d’acquisto. Non si limita a vantare il più alto numero di pannelli fotovoltaici del pianeta. Non sta solo per diventare il Paese con più turisti del globo terracqueo. La Repubblica popolare cinese già oggi è il primo Paese al mondo per numero di rappresentanze diplomatiche.
Come rivela il Global Diplomacy Index del Lowy Institute, un think tank indipendente australiano, nel 2019 Pechino ha superato Washington come superpotenza in termini di rete diplomatica. In sostanza, questo significa che, dei 7316 «posti diplomatici» presenti al mondo, 276 sono cinesi, contro i 273 statunitensi. Per «posti diplomatici» il Lowy Institute intende non solo le ambasciate, ma anche le alte commissioni, i consolati, i consolati generali, le missioni permanenti e ogni altro genere di rappresentanza diplomatica.
Ebbene, solo nel 2016, quando il think tank australiano iniziò a fare questo tipo di rilevazione, la Cina era al terzo posto in classifica (con 263 posti), dopo Stati Uniti (271 posti) e Francia (267). In tre anni, dunque, la situazione si è ribaltata. Già l’anno scorso Pechino era salita al secondo posto, con i suoi 271 posti, ma quest’anno ha fatto l’en plein. Non a caso, negli ultimi due anni ha aperto cinque ambasciate: Burkina Faso, Repubblica Dominicana, El Salvador, Gambia e São Tomé e Príncipe.
E l’Italia? Nella classifica stilata dal think tank australiano si piazza al decimo posto, con 209 posti diplomatici. Il nostro Paese viene prima del Regno Unito, che può contare «solo» su 205 posti. E pensare che, nel 2016, ne aveva 216. Perdere 11 posti in tre anni non è poco, soprattutto in tempi di Brexit. «Il Regno Unito ha promesso di diventare “Bretagna globale” dopo la Brexit» ha osservato amaro il quotidiano londinese The Guardian. «E ha previsto piani per l’apertura di tre nuovi posti nel Pacifico. Comunque, dal 2016 ha chiuso o ridimensionato 11 consolati e tre uffici, finendo dal nono all’undicesimo posto»..
Il South China Morning Post, quotidiano di Hong Kong, si concentra sul sorpasso della Cina sugli Stati Uniti, titolando «La Cina supera gli Stati Uniti vantando il più grosso network diplomatico». Nell’articolo cita Bonnie Bley, ricercatrice del Lowy Institute che ha realizzato l’indagine: «Il vantaggio appena conquistato dalla Cina rappresenta un parametro significativo dell’ambizione nazionale e delle priorità internazionali».
Attenzione, però. Avere tante rappresentanze diplomatiche non significa per forza essere il Paese più potente al mondo. «Gli Stati Uniti restano il centro nevralgico dell’attività diplomatica» prosegue Bonnie Bley. «E restano – con un largo margine – il posto più importante in cui localizzare un posto diplomatico. La Cina viene dopo, a lunga distanza».
Un punto, però, è fuori discussione: la classifica australiana è un significativo indicatore della potenza economica di Pechino. Come fa notare Foreign Affairs in un articolo intitolato «The New Geography of Global Diplomacy», «la Cina è impareggiabile nel suo numero di consolati: 96 paragonati agli 88 degli Stati Uniti».
Sì perché, mentre le ambasciate riflettono il potere politico, i consolati riflettono il potere economico. «La concentrazione della Cina nell’incremento dei suoi consolati» osserva la rivista di geopolitica, «va di pari passo con la sua costante focalizzazione nel far progredire i propri interessi con la diplomazia economica rispetto alla diplomazia tradizionale». Comunque, anche dal punto di vista delle ambasciate la Cina non scherza. Ne ha 169, una più degli Stati Uniti.
«L’accresciuta presenza diplomatica cinese va inquadrata nella nuova fase politica in cui Pechino è impegnata da alcuni anni» spiega a Panorama Paolo Quercia, docente di Studi strategici all’Università di Perugia. «La Cina negli scorsi decenni ha conseguito due fasi importanti della propria strategia politica. La prima è stata la fase della sovranità, ossia stabilizzazione interna del sistema e protezione da influenze esterne». In seconda battuta, continua Quercia, Pechino ha raggiunto la fase dello sviluppo economico, divenendo il motore della globalizzazione del mondo.
«L’attuale fase, che è la terza, prevede la proiezione verso l’estero dell’influenza politica e la trasformazione in potenza militare della crescita economica» conclude l’esperto di geopolitica. «All’occorrenza, è prevista anche l’espansione nelle aree di maggior interesse strategico: Africa, Medio Oriente, ma anche Mediterraneo e America Latina». La Cina ha insomma abbandonato la Strategia dei 24 Caratteri dell’era di Deng Xiaoping: «Nascondi la tua forza, aspetta il tuo momento e non prendere mai il comando». Ormai Pechino si appresta a prendere il comando.