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Axelrod: il guru di Obama fa flop con Monti

Axelrod: il guru di Obama fa flop con Monti

La verità forse è che la mentalità e la politica italiane sono troppo complicate per menti geniali come quelle americane. Lo dimostrano le ultime mosse del presidente del consiglio

Com’è possibile che avendo come “consigliori” un super-esperto della comunicazione come David Axelrod, una delle carte vincenti di Obama nella corsa alla rielezione alla casa Bianca, il professor Mario Monti stia sbagliando praticamente tutte le mosse mediatiche? Qualcuno si chiede addirittura se siano gli avversari di Monti a pagare il suo guru americano. Domanda tutt’altro che peregrina. C’è da domandarsi infatti dove trovi Monti i soldi per compensare le prestazioni professionali di Axelrod, un lusso che un privato cittadino non potrebbe mai permettersi. Il professore, tra l’altro, non è un leader di partito con finanziamenti pubblici, né un capitano d’industria, né un marchese latifondista. Ma detto questo, com’è possibile che l’uomo che ha convinto i bianchi a votare un presidente nero, il genio che ha persuaso gli abitanti di Chicago che Rahm Emanuel aveva un solido legame con la città solo grazie all’esistenza di uno zio veterano della polizia locale, l’uomo che ha fatto vincere Obama sui social network, non sia riuscito a far fare a Mario Monti i giusti passi nella direzione di un necessario cambiamento d’immagine? Da freddo premier tecnico a caldo leader politico. Da strumento dei poteri forti a capofila di una coalizione di moderati “responsabili” in difesa della classe media.

Tutti gli osservatori hanno sottolineato l’aggressività del “nuovo” Monti, il suo linguaggio battagliero, la disinvoltura con la quale ha ribaltato almeno a parole la sua ricetta politico-economica e, naturalmente, mediatica (da più tasse a meno tasse, dallo scetticismo cinico all’ottimismo spavaldo, da uomo che dice la verità a politico che dice le bugie, anche spudorate). Una trasformazione che non gli ha reso in termini d’immagine, tanto meno di consenso nei sondaggi. Chissà perché, per esempio, Monti si è esposto alle contestazioni in Emilia Romagna tra i terremotati. Chissà perché dilaga su tutte le televisioni anche più di Berlusconi. Chissà perché un giorno spara a destra e un altro a sinistra (oltre che suicidarsi al centro). Qualcuno vede in questa “strategia” la mano di Axelrod che forse credeva di poter ripetere l’exploit fatto da Obama contro Romney. Il Presidente uscente perdeva consensi, lo sfidante repubblicano lo incalzava, alla fine Obama ha ribaltato la situazione grazie a un’accelerazione offensiva consigliata proprio da Axelrod: additare Romney come l’espressione del capitalismo selvaggio che aveva mandato in rovina gli americani.

Axelrod, in fondo, aveva semplicemente applicato il principio per il quale vince chi riesce a screditare il nemico e a dare invece di sé un’immagine di cambiamento. E ha vinto Obama. Certo, dev’essere più difficile con Monti che è piuttosto l’incarnazione dell’immutabilità conservatrice da un lato, e dei legami con i poteri forti bancari e finanziari dall’altro. Ma le teste d’uovo ci sono proprio per questo: come i creatori di effetti sociali o più banalmente i parrucchieri sul set di una fiction.

Il succo non cambia se tra i consulenti di Monti c’è davvero anche un altro “guru americano” di cui si è parlato, Martin Sorrell, convinto che la chiave del successo per un leader politico stia nella capacità di “far sognare” gli elettori. Anche in questo caso un’impresa eroica, se non proibitiva, dato il materiale umano “montiano” a disposizione.

Il punto però è un altro, forse. Chi è che spiega a Axelrod, Sorrell e/o a chi per loro la complicata e farraginosa realtà italiana? Non è che tra i “guru” americani e loro clienti-candidati non c’è nessuno di mezzo se non uno staff che la racconta sempre giusta al capo e che lo ritrae come Dio in terra ai consulenti d’oltreoceano? Sarà questo il problema? Le vicende italiane e la mentalità italiota sono troppo complicate per menti geniali ma semplici come quelle americane, specie se non supportate dalla franchezza di un “mediatore culturale” tra il pragmatismo dei “guru” e la vanitosa megalomania dei tecnocrati.  

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