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A Montecassino l’abate era tutto «cassa» e chiesa

A Montecassino  
l’abate era tutto 
«cassa» e chiesa

Dom Pietro Vittorelli è a processo per le spese quando era al vertice dell’abbazia-emblema, tra le quali alberghi di super lusso e completi firmati. E per le prossime udienze si parla di un testimone eccellente…


Ammoniva San Benedetto nel XXVII capitolo della sua Regola: «Bisogna che l’abate sia molto vigilante e si impegni premurosamente con tutta l’accortezza e la diligenza di cui è capace per non perdere nessuna delle pecorelle a lui affidate». Ma che cosa succede se è proprio l’abate a smarrire la retta via?

Dom Pietro Vittorelli (dom da dominus, «signore» in latino) è stato il 191esimo abate di Montecassino, l’abbazia più famosa della cristianità. Ha ricoperto l’incarico dal 2007 al 2013, quando dovette rinunciare sotto il peso dell’avanzare della malattia. Dopo due anni è finito sott’inchiesta per appropriazione indebita insieme al fratello Massimo, indagato invece per riciclaggio. Secondo la Procura di Roma, il successore del Santo avrebbe dilapidato oltre 500 mila euro prelevati dai fondi destinati alle opere di carità. Spendendoli in giro per il mondo in cene, soggiorni in alberghi extra lusso e shopping sfrenato.

L’ultima volta che è apparso in tribunale, a fine marzo, l’abate emerito si muoveva con la carrozzella e il bastone. Visibilmente invecchiato, ma non arrendevole. Ha risposto alle domande dei giudici e del pubblico ministero sugli strani giri dello «sterco del demonio» con cui si sarebbe sporcato l’abito talare, e si è difeso sostenendo di aver sempre osservato il massimo dello scrupolo nella gestione delle risorse vaticane. Lo stesso ha fatto il fratello Massimo, sottolineando che il conto cointestato con Sua Eccellenza serviva non già a distrarre i denari dell’otto per mille ma per amministrare i beni di famiglia.

La prossima udienza è stata fissata il 3 novembre prossimo, e in quell’occasione potrebbe trovare posto, in aula, addirittura Joseph Ratzinger. Il Papa, che volle scegliere come nome pontificale proprio quello del patriarca del monachesimo occidentale e compatrono d’Europa, è stato inserito a sorpresa tra i testimoni della difesa. La sua sarebbe una presenza sensazionale mediaticamente parlando, ma – spiega una fonte inquirente a Panorama – forse poco utile dal punto di vista processuale: «Sua Santità, cui Vittorelli era legato tanto da averlo ospitato nell’abbazia in un pellegrinaggio apostolico nel 2009, non avrebbe mai potuto essere a conoscenza delle seppur consistenti e ripetute operazioni finanziarie dell’abate».

Montecassino ha infatti, come tutte le grandi strutture ecclesiastiche, perfetta autonomia amministrativa. Significa che non esiste alcun sistema di controllo gerarchico su come vengono manovrati i soldi. Il capo dell’abbazia aveva il potere assoluto (e assoluta responsabilità) sui conti e nessuno avrebbe potuto contestargli alcunché. Non è un caso che l’indagine partì, nel 2015, non sulla base di una denuncia ma per un alert dell’Antiriciclaggio su una movimentazione bancaria sospetta.

La Guardia di finanza impiegò quasi un anno e mezzo a mappare le spese pazze del dom. Furono ricostruiti i suoi tour in Italia, Europa e America del Sud. Nel 2013, per alloggiare all’hotel di lusso Corinthia di Londra pagò 7.300 euro. E per una cena al Caviar house & Prunier di Piccadilly, luogo d’elezione per gli amanti del salmone selvatico e del caviale russo, firmò un conto di 719 euro. L’anno dopo, altro viaggio nella capitale inglese con sosta al cinque stelle Capital hotel (524 euro) e capatina al glamour Sushi samba (690 euro), terrazza mozzafiato al 39esimo piano della Heron Tower così presentata sul sito: «La sala da pranzo principale si affaccia su Londra con ampie finestre. Una griglia di luci sospese attraverso il soffitto di bambù aperto a diverse altezze crea un’esperienza magica durante il giorno e un ambiente davvero intimo la sera».

In Brasile, l’abate scelse l’hotel extra lusso Fasano di San Paolo: costo della vacanza, 23 mila euro. Per la trasferta a Chicago, negli Stati uniti, si portò dietro un amico pagandogli il biglietto aereo di 1.400 euro e l’intero soggiorno. E ancora: sono stati scoperti, nascosti nelle pieghe degli addebiti delle carte di credito, tracce di incontri conviviali al San Pietro di Positano, all’Armani di Milano (7 mila euro) e al San Lorenzo di Roma. Oltre a una toccata e fuga a Venezia. In un mese, è stato verificato, Vittorelli riuscì a sperperare 34 mila euro.

Nella voluminosa informativa delle Fiamme gialle c’è poi un paragrafo destinato alla moda, su cui il pm nel corso del dibattimento si è soffermato a lungo. Da quel che sospettano gli investigatori, dom Vittorelli era un frequentatore abituale delle maison più fashion. Sono stati rintracciati pagamenti nei negozi Hermès, Vuitton e Zegna. Nel 2014, il successore di San Benedetto spese 1.090 euro in una boutique Gucci a Roma e altri 1.400 da Prada, a Milano. Ma l’elenco completo sarebbe lungo, e noioso. «Un religioso tutto “cassa” e chiesa» fu la fulminante battuta di un alto prelato vicino a Bergoglio.

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