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kasinv @iStock (2018)
Tecnologia

App per parlare in tutte le lingue del mondo

Per imparare una lingua straniera ci sono mille offerte e possibilità; basta scegliere quella giusta

Imparare un’altra lingua espande a dismisura le opportunità della nostra vita, dal potersela cavare in un Paese straniero alla possibilità di comprendere la cultura di altri popoli. Inoltre, come concorda la letteratura scientifica, la conoscenza di una lingua straniera amplia le potenzialità del cervello. La questione è quali strumenti scegliere per imparare. Oggi cellulari e computer hanno aumentato la gamma di strumenti a disposizione: per chi vuole imparare esistono app come Duolingo, Babbel, Aba english, Quizlet, Busuu, Drops, Bbc learning english, ma anche programmi come quello di Google Chrome da abbinare a Netflix per guardare film con doppi sottotitoli. D’altra parte proliferano anche i programmi di traduzione simultanea come Google Translator, DeepL, Bingtranslate, Translate.com, Oxford Translator.

Nel 2015 l’Istat calcolava che, per il 75 per cento delle persone che conoscevano una lingua straniera, la scuola era il principale canale di apprendimento, mentre i soggiorni di studio e il lavoro all’estero lo erano per il 15 per cento. Ma da un’altra indagine su 45 mila persone, in 230 nazioni, emergeva anche che il 30 per cento considerava app e corsi interattivi online lo strumento migliore. Dopo quattro anni, oggi una piattaforma online come Babbel conta milioni di iscritti nel mondo, con l’Italia terzo Paese in Europa per numero di abbonati. «L’interesse per l’uso delle app cresce sempre di più» dice Gianluca Pedrotti, editor per la didattica di Babbel, una delle piattaforme online più diffuse. «Sono a portata di tasca e possono essere usate nel tempo libero, durante gli spostamenti in autobus o in treno».

Tra una app e un’altra esistono differenze rilevanti. «Alcune puntano sulla ripetizione del lessico, come Memerise, Quizlet e Drops. Quest’ultima prende il nome dal fatto che singoli vocaboli scendono come gocce lungo lo schermo e l’utente deve associarle a certe immagini interagendo con il dito». Sono utili per imparare il vocabolario, sebbene siano più deboli per la grammatica e la comunicazione. Duolingo, l’app più curata graficamente, propone unità di una decina di esercizi di difficoltà crescente attraverso i quali l’utente impara grammatica, pronuncia e vocaboli. Finita ogni sessione, si accede alla successiva e si sale di livello espandendo il vocabolario e aumentando le conoscenze grammaticali. «Mentre gli esercizi di Duolingo si basano su frasi formulate da algoritmi, Babbel punta sulla comunicazione reale» sostiene Pedrotti. «Per esempio, su Duolingo si possono trovare frasi come “il cane è rosso” che, sebbene possano essere utili a comprendere le concordanze, non sono di uso comune. Invece, Babbel parte da una conversazione reale poi analizzata in ogni aspetto, da quello grammaticale a quello dei vocaboli, da quello delle espressioni giovanili ai localismi».

Leb English della Bbc è insuperabile per imparare espressioni british e «phrasal verbs», Busuu è la più indicata per conoscere la fraseologia base da viaggio, Aba English punta di più sui video, Tandem è utile a chi vuole fare conversazione, Rosetta Stone diverte chi vuole riconoscere gli oggetti con la fotocamera e scoprirne il nome in differenti linguaggi.

Jeffrey Earp, dell’Istituto per le Tecnologie Didattiche del Cnr a Genova, ha una vasta esperienza nel Computer assisted language learning. Di fronte alla questione se le app siano davvero utili, dice che hanno pregi e difetti: «Tra i pregi vi sono la portabilità e la possibilità di gestire il proprio tempo, la multimedialità, l’opportunità di personalizzare l’apprendimento e di comunicare con un madrelingua e, talvolta, di trarre vantaggio da tecnologie emergenti». Una di queste è quella del chatbot, un software su un dispositivo che simula la conversazione con un essere umano: in futuro, si potrà conversare con il telefonino praticamente come si fa con un madrelingua. «Tra i difetti, vi è spesso quello di proporre funzioni che sviluppano solo alcune competenze, come la conoscenza dei vocaboli e della grammatica. Conoscere una lingua significa essere in grado di cavarsela nelle situazioni più disparate, conoscere vocaboli base di diversi ambiti, leggere, scrivere, capire diversi accenti, parlare in modo formale e informale e così via» dice Earp.

Più un’app è specializzata più l’utente sarà limitato nella capacità di usare la lingua sul campo. «Al momento esistono pochi studi che valutano l’efficacia effettiva delle app, ma stanno arrivando e ciò avrà un effetto positivo prima sulla qualità dei prodotti e poi sugli utenti». Chi si accinge a comunicare con stranieri potrebbe valutare la possibilità di usare uno dei molti traduttori a disposizione su un cellulare. Alcuni sono integrati su WhatsApp, altri su Skype o su browser come Chrome: basta scrivere e l’interlocutore riceve i messaggi in traduzione, oppure si può mostrare il proprio cellulare con il testo già tradotto.

Come nota Earp, questo sistema è utilissimo per una persona che vuole arrangiarsi in un posto in cui si parla una lingua poco conosciuta come l’Uzbeko. Ma se uno vuole interagire bene con l’altro e capire i suoi modi di fare e pensare, meglio che impari qualche rudimento della sua lingua e cultura.

Senza contare un aspetto cruciale nei rapporti umani tra persone di diversi Paesi: saper dire qualche parola nella lingua del proprio interlocutore è una forma di cortesia. «Se proprio uno vuole usare un traduttore sul proprio dispositivo mobile, tra tutti preferisco Google Translate: è impressionante come è migliorato nel tempo grazie al machine learning. Lo si può usare anche per testi complessi, ma spesso bisogna fare modifiche per rendere la traduzione accettabile».

«Immersione e interazione sono cruciali nell’apprendimento di un linguaggio, così come rapporti continuativi con persone ‘dal vivo’. C’è del vero quando si dice che è di aiuto farsi l’amante madrelingua» dice sorridendo Earp. «Per interazione, alludo alla possibilità di accorgerci dei nostri errori, grazie magari a un negoziante in un Paese straniero che non capisce quando parliamo o a un amico madrelingua che ci corregge». Se uno non può andare all’estero ma ha disponibilità economiche, il miglior modo sono le lezioni intensive con un insegnante madrelingua. Se non si hanno troppi soldi, invece, bisogna cercare il più possibile di chiacchierare con persone madrelingua, e per questo l’ideale sono strumenti come Skype, con le loro funzioni di scambio di conversazione.

Bisogna farlo però con continuità: una ricerca su un gruppo di bambini delle elementari mostrava che quelli che partecipavano a cinque interventi settimanali imparavano di più di chi seguiva una lezione di tre ore, due volte la settimana.

«All’inizio dell’apprendimento i quiz show sono meglio dei film perché spesso le parole vengono scritte, ripetute, scandite, e ci sono molte pause» suggerisce Earp, che è d’accordo anche sul fatto che i telegiornali di Bbc World sono un valido aiuto perché ripetuti a distanza di poco tempo, così come i reportage e interviste come Hardtalk. «La difficoltà a seguire i film in inglese non deve scoraggiare gli italiani: non si registrano dialoghi in studio, come spesso accade in Italia, e per di più c’è una tendenza da parte degli attori americani a parlare a bassa voce e a mangiarsi le parole nei dialoghi intensi. Conviene guardarli con i sottotitoli o in italiano o in inglese. E poi riguardarli senza».

Ecco il lavoro per un italiano che vuole apprendere un’altra lingua. Essere nel Paese dove quasi tutto, dalla tv al cinema straniero, è doppiato, certo non aiuta. Si perde la possibilità di imparare da bambini, quando le connessioni neuronali non sono ancora tutte formate e quindi l’apprendimento linguistico è facilitato. Tempo che sarebbe guadagnato per imparare, e vivere, altro da adulti. E poi, Robert De Niro in originale è un altro De Niro. Ascoltare quello vero è uno dei tanti piaceri di cui si priva chi non conosce una lingua straniera.

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Luca Sciortino