Winona Ryder, l'icona precaria

«I giovani non sono altro che profughi della storia, per loro non c’è nessuno che plachi le paure, nessuno contro cui sfogare la rabbia e nessuna nuova cultura che riempia il vuoto di quella passata, per questo rischiano di finire di impantanarsi nei detriti della memoria». È la definizione – per nulla consolatoria – che lo scrittore canadese Douglas Coupland usa per introdurre il suo libro cult Generazione X (1991). E, dalla teoria sociale al cinema, Winona Ryder rappresenta l’icona di quei ragazzi anni ’90, raccontati perfettamente dal film di Ben Stiller Giovani, carini e disoccupati - Reality Bites ideato e girato proprio nel 1993.

Che atmosfera c’era in quell’anno, Winona?
I giovani erano idealisti, romantici, sognatori, ma anche “morsi dalla realtà”, come diceva il titolo del film (Reality Bites, ndr). Si dovevano scontrare con problemi quotidiani, ansie e paure di una situazione economica incerta e da valori fragili che non offrivano un appiglio. Quel nostro tempo era di precarietà, etica e psicologica, molto diffusa.

Cosa la colpì della “Generazione X” descritta da Coupland?
Ai tempi non sapevo cosa fosse, semplicemnete perché ci vivevo dentro. Si trattava di questi giovani che non appartenevano a una tribù sociale ben identificabile, che si trovavano sospesi tra hippies e yuppies…

L’intervista con Winona Ryder continua a pag. 92 sul numero di Flair, in edicola in allegato con Panorama.

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