Voluntary disclosure, ecco come sarà la nuova versione

Se è vero che l’appetito vien mangiando, i buoni risultati ottenuti dalla prima versione della voluntary disclosure stanno spingendo il governo a mettere in cantiere una seconda versione di questo programma di emersione dei capitali occulti detenuti all’estero, e non solo. Una delle novità più importanti ventilate finora e che riguarderebbe appunto il nuovo provvedimento sulla voluntary disclosure, prevederebbe infatti norme più mirate a portare alla luce anche il contenuto di tante cassette di sicurezza custodite nei caveau delle banche italiane. Contanti, ori e gioielli finora sconosciuti al fisco potrebbero finalmente essere dichiarati e generare ricchezza da immettere nella nostra economia legale.

Voluntary Disclosure, più che uno scudo uno scudetto. Invece serve uno shock svizzero


Una prospettiva resa allettante soprattutto dai numeri generati finora dalla prima versione della voluntary discloser. Complessivamente infatti, il provvedimento che spingeva a dichiarare ricchezze sconosciute al fisco, ha portato all’emersione di circa 60 miliardi di euro, che tra imposizioni fiscali e sanzioni hanno generato un gettito di ben 4 miliardi di euro. Risorse quanto mai preziose in un periodo di grandi ristrettezze di bilancio e che lo stesso ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan si è augurato di poter raggiungere con la nuova riproposizione della norma, ammettendo che anche un risultato leggermente inferiore sarebbe comunque certamente apprezzabile.

Capitali all'estero: come e chi può aderire alla voluntary disclosure


Ebbene, il gettito in questione è stato generato da circa 130mila istanze presentate, delle quali meno del 2% riguardava proprietà mobiliari detenute entro i confini nazionali. Tutte considerazioni che stanno portando il governo a elaborare una strategia molto chiara: le regole generali sulla nuova voluntary disclosure resteranno praticamente uguali a quelle utilizzate nella prima versione, visto che hanno dimostrato di funzionare egregiamente. Qualcosa di specifico verrà invece proposto appunto per spingere un numero maggiore di contribuenti a dichiarare eventuali ricchezze detenute, all’oscuro del fisco, presso le sedi di banche nostrane.

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Per quanto riguarda invece detentori di capitali all’estero questa nuova finestra di emersione potrebbe risultare l’ultima vera occasione per mettersi in regola. Dal 2018 infatti scatteranno tutta una serie di accordi e di convenzioni internazionali su finanza e trasparenza per cui eventuali conti correnti stranieri potranno essere facilmente identificabili direttamente dal fisco, con conseguenze molto più pesanti. In questo senso, tra l’altro, una conferma arriva dal programma di incontri bilaterali che esponenti della nostra amministrazione fiscale continuano ad avere con tecnici di Paesi un tempo sulla black list dell’erario: ultimo in ordine di tempo quello con rappresentati di Panama. Come a dire che l’esistenza stessa di tanti cosiddetti paradisi fiscali ha ormai i mesi se non le settimane contate. Staremo a vedere.

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