Magic Camps Wahiba Sands nel deserto dell'Oman (Magic-camps.com)

Viaggi

Oman, dove vivere le mille e una notte

Succede dopo una salita ripidissima, sconfitta a fatica dalla jeep tra rombi, lagne del motore e nuvole di polvere: si spalanca un oceano scintillante di verde, un mosaico di migliaia di palme, ombrelli d’ombra su rovine di pietra e di fango. Capita alla foce di un canyon, dove le montagne si sfidano, si addossano l’una contro l’altra, mentre il sole si allea con le ombre per disegnare sfumature con la luce. L’Oman è un soprassalto di bellezza, un’invasione di meraviglia che si ripete anche nel deserto, vegliato da un tappeto di stelle notturne. Oppure in città, tra palazzi sfarzosi e riti ancestrali, dal mercato del pesce con i suoi odori pungenti fino al duello al ribasso per la ceramica o l’incenso nella gola del suq.

L’ultimo lembo di Medio Oriente regala, ancora, la beatitudine di stupirsi. L’estasi di rimanere senza parole, il senso del privilegio di esserci, perché le rappresentazioni e gli artifici contemporanei ne escono mortificati: non c’è foto che renda giustizia alle immensità rocciose presenti in ogni dove, lanciate in quota verso il cielo o tuffate sulle spiagge di Muscat, la capitale, l’antitesi morfologica della vicina Dubai. Nessuna traccia di grattacieli, le norme (salvo sparute eccezioni) vietano di costruire superando i sei piani. Non si ha l’ansia del futuro, non si rincorrono avanguardie, perché il grande disegno è preservare il passato. Mantenere la tradizione, abbracciando la modernità a piccole dosi, certamente schivando i suoi sbrodolamenti architettonici, l’ossessione di correre, la smania di produrre.

L’impiegato a un ufficio postale, l’addetto a un negozio, il proprietario di un ristorante si prendono il gusto di fare le cose perbene: che sia servire un pasto a base d’agnello, confezionare un pacchetto, vendere un francobollo con lenta deferenza, nemmeno fosse un diamante. In Oman si dimentica cos’è la fretta, bandita sin dal rito preferito locale: il caffè con aromi di cardamomo, un coro di mimi, di muta gestualità. Ti ripasso la tazza se ne voglio ancora, faccio ondeggiare il braccio se va bene così, lo appoggio a terra se devo parlarti perché ho bisogno di te. E fra un dattero, anzi tre prima del primo sorso, si vive la pienezza dell’attimo.

Vista da una suite dell’Al Bustan Palace (Ritzcarlton.com).


La Grande Moschea del Sultano Qabus a Muscat


La via ferrata, tra le attività proposte dall' Alila Jabal Akhdar(Alilahotels.com)


Il canyon e il suo panorama mozzafiato.


Sia chiaro, questo spirito reazionario non è arretratezza: la rete 5G prende meglio che nel centro di Milano, pure in orizzonti bucolici; la continua scoperta di giacimenti di petrolio assicura prosperità al sultanato, sazio di risorse mentre il mondo ha fame d’energia, ricco di mezzi per alimentare l’utopia del tempo sospeso. Il turista di passaggio ringrazia, catapultato in scenari che superano la fantasia delle favole arabe di Le mille e una notte. L’Oman è mare, vette e deserto nel giro di poche ore, specie nella parte più a nord, che abbraccia Muscat, l’antica capitale Nizwa, tiene in mezzo i monti Al Hajar, più a destra le sabbie di Wahiba Sands.

Dall’Italia si arriva con un volo diretto di Oman Air, che decolla da Milano Malpensa. Impensabile spostarsi con i mezzi pubblici: bisogna affittare un’auto o, meglio ancora, farsi accompagnare da una guida con autista. L’operatore locale Afaq Travel & Tourism (Afaqtourism.com), con più di otto anni d’esperienza, è una sicurezza, specie per approcciare il deserto. Qui si ribadisce una dicotomia: il tentativo dell’uomo di ammansirlo, di piazzare tende con letti comodissimi su pavimenti di tappeti; il suo imporsi ribelle, assertivo, con visite di scarabei, avvistamenti di scorpioni, agguati di grilli, falene e altri svolazzanti padroni di casa. Gli intrusi, è bene ricordarlo, siamo sempre noi.Nei campi ci si gode il tepore di un falò, una cena e una colazione degne di un buffet pugliese, poi, anche per smaltire, si va tra le dune ad ascoltare i sussurri del vento, inseguire le tracce a zig-zag di capre e dromedari, affondare i piedi nella morbidezza. Un massaggio per l’anima prima dell’adrenalina di montagna, dove pure una passeggiata innocua fa sentire un arrampicatore seriale. E chi vuole osare, trova verticalità per i suoi sensi.

Le città restituiscono sicurezze para-occidentali: il forte e il suq di Nizwa sono ben conservati; Muscat ha i resort sulla spiaggia, con il bonus di qualche effetto wow: l’Al Bustan Palace, per esempio, custodisce un piano proibito, inaccessibile, riservato solo alla famiglia del sultano. A tutti, ospiti e non, esibisce la hall con una cupola alta 38 metri, da cui scende un lampadario di cristallo lungo 18 metri. È una licenza di sfarzo che ritorna in parte nella Grande Moschea o s’intravede nella Royal Opera House, ma senza mai scadere nell’eccesso, indugiare nel pacchiano. Come nel sobrio National Museum, il contenuto prevale sul contenitore, la funzione sull’involucro, la profondità della storia sugli espedienti usati per raccontarla. L’Oman, per rendersi indimenticabile, non sparge fumo negli occhi. Gli bastano il pulviscolo sottile del deserto, gli strapiombi maestosi della montagna, l’abbraccio caldo dell’estate mentre quassù già tuona l’inverno

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