Web/Twitter
News

Venezuela, uccisa una bimba di 6 anni

Non si conosce il suo nome, ma solo la sua età. Aveva 6 anni. Il suo corpicino senza vita è stato portato nella clinica La Isabelica di Valencia, una delle tante città venezuelane dove dal 12 febbraio scorso sono esplose le manifestazioni di piazza contro il presidente Nicolas Maduro. La piccola, senza più vita, riportava ferite da armi da fuoco e al momento dello sparo si trovava in un asilo. Una dottoressa della clinica inizialmente conferma tutta la storia alla stampa, ma preferisce mantenere l'anonimato pe paura di ritorsioni.

Dopo qualche ora dalla diffusione della notizia, la responsabile del reparto di pediatria dell'ospedale dichiara che nessuna bimba è stata portata nella clinica e l'obitorio di Valencia nega di avere in custodia il corpicino della piccola. Difficile confermare la storia, in un Paese nel quale non esistono più organi di informazione liberi e l'unico mezzo per far filtrare notizie e fotografie è internet.

Eppure il tam tam sul web continua. "La niña esta muerta", la bambina è morta, si legge nei twit di decine e decine di persone. Solo a Valencia ieri ci sono stati altri 3 morti e 8 feriti. Sui social network, unico sfogo per gli oppositori di Nicolas Maduro che vivono in un Paese senza più stampa e media che non siano pilotati da Palacio Miraflores, circolano centinaia di fotografie. I manifestanti non hanno dubbi e sostengono che la bimba di 6 anni è stata uccisa e che la dottoressa che l'ha presa in braccio in ospedale in un primo momento lo ha confermato, e poi ha ritrattato per paura di entrare nel mirino dei Tupamaros.

Sono loro i killer venezuelani che affiancano con le motociclette le forze dell'ordine della Guardia Nacional Bolivariana (GNB). All'inizio - dichiara a Panorama.it Maria da Maracaibo - erano incappucciati. Adesso non hanno più nemmeno paura di mostrare il loro volto, perché sanno che resteranno impuniti.

E da Parigi Reporter senza frontiere lancia l'allarme sull'aumento della censura venezuelana su internet, che impedisce al mondo di sapere quello che sta accadendo nel Paese. Un appello che, però, cade nel vuoto del silenzio di una comunità internazionale che preferisce non muovere un passo, né dire una parola.

I racconti che arrivano dal Venezuela diventano giorno dopo giorno sempre più tragici. Non c'è nessuno a raccontarli, nessun rappresentante dei media ufficiali. Anche la CNN da tempo ha lasciato il Paese dopo le minacce alla sua corrispondente. Morale: sta andando in scena una guerra terribile, ma è come se tutto questo non stesse accadendo, perché non c'è nessuno a raccontarlo. I colectivosdi Tupamaros utilizzano le ambulanze come "cavalli di Troia" per riuscire a superare le barricate. Una volta arrivati a destinazione, tra gli oppositori, scendono dal mezzo e cominciano a sparare. 

In più, sul web fioccano decine e decine di denunce da ogni parte del Paese su gruppi di uomini armati e incappucciati che irrompono in ospedali e pronto soccorsi per trafugare i corpi dei morti e farli sparire. Al momento il numero delle vittime (ufficiali) della guerra civile che sta disintegrando il Venezuela è di 30 persone, ma potrebbero essercene molte di più. 

Ma, se la censura soffoca l'informazione in Venezuela, fuori dal Venezuela i venezuelani sono molto attivi e pubblicano costantemente storie e racconti da amici e famigliari che stanno "resistendo" contro la morsa di Nicolas Maduro. Come Francesca Guatteri, nata a Caracas e attualmente a Milano, che nel suo blog "Vivere per raccontarla ", scrive dell'operazione Zar, definendola "operazione Giuda". 

"Sembra inoltre che sia in corso un’operazione militare denominata Operación ZAR, disposta dall'Alto Comando Operativo Venezuelano/Cubano che consiste nel dare ad alcuni Comandi Speciali l'ordine di uccidere Guardie Nacionali, Poliziotti, Tupamaros e Colectivos a caso, con la sola finalità di colpevolizzare di questi omicidi i manifestanti oppositori. I militari a cui verrà affidata questa macabra missione farebbero parte anche di alcuni dei gruppi anti sommossa che da giorni reprimono proteste e barricate, così che nessuno può fidarsi di nessuno e chiunque di loro potrebbe avere vicino proprio il suo assassino".

Le vittime sono quasi tutte giovani, come Jesús Enrique Acosta (22 anni), che si trovava a casa di un vicino a Valencia per passare la serata, quando un gruppo di uomini armati sulle motociclette ha cominciato a sparare nel quartiere residenziale e poi è entrato nelle case. Jesús Enrique Acosta è stato colpito da un proiettile alla testa. Inutile la corsa all'ospedale. E' morto all'1.15 del mattino.

I suoi amici e parenti, in lacrime, raccontano a un giornale online  gli ultimi momenti del ragazzo: "Eravamo per strada e abbiamo sentito gli spari, poi qualcuno ha detto che erano entrati nelle case e che avevano sparato in testa a mio cugino". Il ragazzo spiega che "i colectivos sparano all'impazzata anche senza cappucci" e sottolinea che la giovane vittima "Non stava facendo nulla, stava semplicemente parlando con un amico quando sono arrivati i 20 motociclisti e hanno cominciato a sparare per strada".

Forse Jesus Enrique Acosta è stato vittima dell'operazione Zar, e si trovava nel momento sbagliato nel posto sbagliato. Forse il ragazzo pensava che la casa di un suo amico fosse sicura per fare quattro chiacchiere, magari per parlare di musica e di cinema, per non pensare alla guerra là fuori. Ma la guerra là fuori non ha avuto pietà di lui, come di tanti altri. In Venezuela si continua a combattere per le strade giorno e notte dal 12 febbraio scorso. 

YOU MAY ALSO LIKE