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Ustica, sentenze schizofreniche e risarcimenti

Il 27 giugno saranno trascorsi 35 anni esatti: 12.775 giorni dall'esplosione in volo che all'inizio dell'estate 1980 causò l'inabissamento del Dc9 Itavia nel mare vicino a Ustica, con 81 morti. Parafrasando il mitico giornalista Tommaso Besozzi, che nel 1950 scoperchiò il mistero sulla morte del bandito Salvatore Giuliano, si potrebbe dire che in questo caso di sicuro ci sono soltanto quei poveri morti. Perché la verità processuale sul caso, come purtroppo capita soltanto in Italia, è totalmente schizofrenica.

Nel gennaio 2007, infatti, la Cassazione penale ha assolto definitivamente i generali dell'Aeronautica militare (che peraltro avevano rinunciato alla prescirzione), accusati di depistaggio. Alla fine di un processo articolato in 277 udienze, con circa 4 mila testimoni e 1 milione e 750 mila pagine di istruttoria, basato su perizie e controperizie affidate a 11 tecnici tra i più qualificati a livello internazionale, i quali concludevano a favore dell'ipotesi di una bomba ed escludevano perentoriamente che la causa fosse da ricondurre a un missile.

Ma nel luglio 2003 a Bronte (Catania), in sede civile, un giudice onorario aggregato, Francesco Batticani, ha stabilito che l'abbattimento del Dc9 è stato causato da un missile. Da quella sentenza, apparentemente secondaria rispetto alla verità giudiziaria stabilita dalla Cassazione penale, sono discesi infiniti rivoli legali e risarcitori, un vero grovigio giudiziario con esiti contraddittori e a volte grotteschi.

Questa strana giustizia bifronte si è di fatto trasformata in una diatriba legale senza soluzioni: se la causa riconosciuta della strage è la bomba, la responsabilità di non avere vigilato sulla sicurezza dell'aereo ricadrebbe sull'Itavia; se è un missile, invece, la responsabilità cade interamente sullo Stato italiano, che avrebbe dovuto prevenire ed evitare l'evento.

Va detto che, intanto, lo Stato da tempo si è già fatto carico di risarcimenti diretti: a ogni famiglia degli 81 morti sono stati assegnati 200 mila euro (per un totale di 15,8 milioni) e i 141 familiari superstiti nel 2004 hanno ottenuto un vitalizio di 1.864 euro netti mensili rivalutabili, per un totale di altri 31 milioni al 31 dicembre 2014. Quest'ano la spesa prevista è di 3,3 milioni. Si calcola che il risarcimento finale sarà di circa 60 milioni di euro.

Eppure il caso dei risarcimenti non si ferma. Lo scorso aprile la prima sezione civile della Corte d'appello di Palermo ha rigettato gli appelli che l'Avvocatura dello Stato aveva promosso contro quattro sentenze emesse nel 2011 dal tribunale del capoluogo, che aveva riconosciuto a 68 familiari delle vittime un danno di oltre 100 milioni di euro accreditando la tesi del missile. Così ora si va in Cassazione.

Ci sono poi altre situazioni, decisamente meno chiare. Lo scorso ottobre la Corte d'appello di Roma ha condannato i ministeri della Difesa e dei Trasporti a pagare un risarcimento di 265 milioni alla società Itavia, che è da tempo in amministrazione controllata. In primo grado, nel 2003, la condanna era stata molto inferiore: 108 milioni di euro. Ma Il Fatto Quotidiano, il 13 giugno 2014, ha scritto che la Procura di Roma avrebbe aperto un'inchiesta su un'ipotesi di transazione "anomala" tra i due ministeri e i commissari dell'Itavia. Di questa storia non si è saputo più nulla...

Dall'assurdo caos giudiziario su Ustica, insomma, rischia di uscire perfino qualche sgradevole scandalo.

C'è chi da anni combatte una difficile battaglia controcorrente per contestare la corsa indifferenziata ai risarcimenti: sono Carlo Giovanardi, 65 anni, senatore modenese del Nuovo centrodestra e l'ex senatore di Forza Italia Vincenzo Ruggero Manca, già vicepresidente della commissione Stragi. Alcuni mesi fa Giovanardi e Manca avevano criticato l'allargamento dei risarcimenti a due donne palermitane, nate tra il 1982 e il 1983, quindi anni dopo la strage. Si tratta delle figlie di secondo letto del vedovo e della sorella di una delle 81 vittime di Ustica, a loro volta deceduti. In tribunale le due donne, che pure non hanno alcun legame affettivo con la vittima, hanno chiesto un milione di euro, e finora (in primo grado) hanno ottenuto 100 mila euro a testa.

Giovanardi ha cercato di coinvolgere nella sua campagna anche l'ex presidente della Repubblica,Giorgio Napolitano. Lo scorso 3 giugno, il senatore a vita ha risposto al collega dell'Ncd con una lettera significativa: "Non posso che condividere con te l'auspicio che si giunga finalmente a un accertamento della verità, quanto meno sul piano giudiziario", scrive Napolitano, in questo segnalando una profonda distanza da rappresentanti del Pd come Daria Bonfietti, presidente dell'associazione familiari delle vittime della strage di Ustica e implacabile sostenitrice della tesi del missile.

Ma Giovanardi e Manca nella loro battaglia sono completamente soli. La politica, soprattutto quella di governo, pare terrorizzata alla sola idea di cercare di fare chiarezza nel groviglio giudiziario-risarcitorio. Tace. Finge indifferenza. Preferisce occultarsi dietro ai tecnici dell'Avvocatura di Stato, che pure difendono gli interessi pubblici. E lo fanno in tribunale, ricordando ogni volta l'esistenza di una sentenza penale definitiva che stabilisce la verità della bomba.

In una nota indirizzata al governo due mesi fa da Palermo subito dopo la condanna in Appello e il risarcimento di 100 milioni ai 68 familiari delle vittime, l'avvocato dello Stato Maurilio Mango ha segnalato alla presidenza del Consiglio e ai ministeri della Difesa e dei Trasporti che l'Avvocatura si sente destinataria di una serie di intimidazioni a mezzo stampa e via online, indirizzate contro chi nei tribunali cerca di opporsi alla nuova pioggia di risarcimenti.

"Il 13 aprile" aggiunge Mango nella sua nota "è pervenuta una busta ovviamente anonima e spedita da sedicenti vittime di Ustica contenente un foglietto di carta imbrattato di materiale non propriamente nobile. Non si vuole certo drammatizzare l'episodio, ma il silenzio istituzionale certamente non sfavorisce imprevedibili gesti di persone squilibrate".

L'Avvocatura, insomma, nella dura e complessa vertenza legale si sente quasi abbandonata dalla politica. Per questo, Mango conclude: "Sotto il profilo strettamente giuridico sussistono elementi tali da consentire un'ulteriore resistenza in giudizio. È tuttavia evidente che questa Avvocatura non ha alcun interesse a coltivare una linea difensiva giudicata non praticabile o inopportuna. Si resta perciò in attesa di conoscere quali siano le determinazioni dei destinatari della presente (...). Si resta in attesa di urgente riscontro".

Non è dato sapere che cosa abbiano risposto la presidenza del Consiglio e i ministeri interpellati.

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