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Donald Trump: perché i repubblicani non riescono a fermarlo

Giovedì la notizia più importante dalla campagna elettorale americana è stata la sconfessione di Trump da parte di Mitt Romney, il candidato del Gop alle elezioni del 2012, sconfitto pesantemente da Barack Obama.
“Trump è un falso, un ciarlatano, un impostore. La sua politica interna ci porterebbe alla recessione. In politica estera non è affatto intelligente”. Romney ha aggiunto che se i repubblicani candidassero Trump, la vittoria di Hillary Clinton sarebbe sicura. 
Trump gli ha risposto: “Quel che dice Romney è irrilevante. La sua candidatura nel 2012 fu un disastro”.

Ma l’uscita di Romney fa parte di un’offensiva evidente dei dirigenti del Partito Repubblicano che, piuttosto tardivamente, hanno deciso di ostacolare l’avanza di Trump verso la nomination.

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Anche John McCain, altro sconfitto da Obama, nel 2008, ha attaccato Trump, demolendo la presunta fama di imprenditore di successo e di esperto di economia: il patrimonio lo ha ereditato. Le sue bancarotte hanno rovinato dipendenti e piccole imprese. La sua politica economica scatenerebbe una guerra commerciale con altri paesi, aumenterebbe il deficit, causerebbe una recessione.

Eppure, probabilmente è troppo tardi.

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Un sostenitore di Donald Trump a Warren, Michigan, 4 marzo 2016
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7 febbraio 2016. Un sostenitore di Donald Trump a Holderness, New Hampshire
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Donald Trump durante il dibattito fra i candidati del Partito Repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti, Charleston, South Carolina, 14 gennaio 2015
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1° marzo 2016. Il candidato repubblicano Donald Trump saluta gli elettori durante un evento della campagna a Louisville, in Kentucky, USA.
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26 febbraio 2016. Il candidato repubblicano Donald Trump durante un evento della sua campagna elettorales al Convention Center di Fort Worth, in Texas, in vista del Super Tuesday.
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17 febbraio 2016. Il candidato repubblicano Donald Trump parla agli elettori a Bluffton, South Carolina.
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Myrtle Beach, South Carolina, 19 febbraio 2016. Spillette e sciarpe di due sostenitori di Donald Trump durante un evento elettorale.
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13 febbraio 2016. I candidati repubblicani Ted Cruz e Donald Trump durante il dibattito televisivo organizzato da CBS News al Peace Center di Greenville, in South Carolina.
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23 febbraio 2016. Il candidato repubblicano Donald Trump con i figli Donald Jr. e Eric durante la serata di attesa dei risultati del caucus presso il Treasure Island Hotel & Casino a Las Vegas, in Nevada.
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23 febbraio 2016. Il candidato repubblicano Donald Trump al suo arrivo alla serata di attesa dei risultati del caucus presso il Treasure Island Hotel & Casino a Las Vegas, in Nevada.

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Donald Trump in South Carolina - 17 febbraio 2016
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Winterset, Iowa, 19 gennaio 2016. Il candidato repubblicano Donald Trump durante un discorso al locale museo dedicato a John Wayne.
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Donald Trump, candiato alle primarie dei repubblicani per le Elezioni Usa 2016
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Manchester, New Hampshire, 4 febbraio 2016. Il candidato repubblicano Donald Trump posa per una foto con un gruppo di ufficiali durante una visita al locale Dipartimento di Polizia.
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Cedar Rapids, Iowa, 1° febbraio 2016. Il candidato repubblicano Donald Trump in campagna elettorale allo U.S. Cellular Convention Center.
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Dubuque, Iowa, 30 gennaio 2016. Il candidato repubblicano Donald Trump parla durante un suo comizio all'aeroporto.
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Las Vegas, Nevada, 15 dicembre 2015. Ayla Brown canta l'inno nazionale prima del dibattito televisivo trasmesso dalla CNN tra i candidati repubblicani. Da sinistra a destra: il governatore dell'Ohio, John Kasich; la manager Carly Fiorina; il senatore della Florida, Marco Rubio; il neurochirurgo in pensione Ben Carson; l'imprenditore Donald Trump; il senatore del Texas, Ted Cruz; l'ex governatore della Florida, Jeb Bush; il governatore del New Jersey, Chris Christie e il senatore del Kentucky, Rand Paul.
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Lynchburg, Virginia, 18 gennaio 2016. Il candidato repubblicano Donald Trump durante un evento elettorale al Vines Center, nel campus dell'università privata cristiana Liberty University.
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Ames, Iowa, 19 gennaio 2016. Il candidato repubblicano Donald Trump stringe la mano all'ex governatrice dell'Alaska, Sarah Palin, dopo aver ottenuto il suo endorsement presso lo Hansen Agriculture Student Learning Center.
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Donald Trump stringe la mano a Sarah Palin all'Iowa State University
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L'istrionico candidato repubblicano Donald Trump

Certo i numeri ancora non condannano i rivali: Trump ha 319 delegati, Cruz 226, Rubio ne ha 110.
Le primarie del 15 marzo saranno probabilmente il punto di non ritorno: si vota infatti in grandi Stati come l’Illinois (69 delegati per il Gop), la Florida (99), il Missouri (52), l’Ohio (66) e il North Carolina (72); in Ohio e in Florida con la regola del winner-take-all che favorisce clamorosamente il primo arrivato.

Mancanza di alternative fra i repubblicani
Ma le difficoltà dell’establishment repubblicano sono più profonde.
Come ha scritto John Cassidy sul New Yorker, il vero punto debole della strategia degli anti-Trump nel Partito repubblicano è che non ci sono candidati alternativi.

Marco Rubio, che sembrerebbe il preferito dai dirigenti del Gop, è già in discreto ritardo di delegati e i sondaggi per le prossime primarie lo danno in ulteriore svantaggio, persino in Florida, il suo Stato.

Ted Cruz, che è a meno di 100 delegati da Trump, è apparso, in questa campagna elettorale, estremista su molte questioni, in special modo su quelle sociali, sostenuto dalla galassia del Tea Party e quindi non apprezzato — proprio come Trump — dall’elettorato e dagli opinionisti repubblicani più moderati.
Questa posizione si è anche tradotta in una retorica anti-establishment che gli ha alienato molti dei leader repubblicani a Washington.

Mercato senza regole vs populismo
Inoltre, per strappare consensi a Trump, gli avversari repubblicani dovrebbero riuscire a sembrare di avere a cuore gli interessi dei ceti bianchi a reddito più basso e ai ceti medi impoveriti o minacciati dalle trasformazioni economiche.

Trump, fa il populista, mischia la retorica nativista e razzista e le strizzate d’occhio ai suprematisti bianchi con le promesse di porre fine all’immigrazione illegale, e le fantasie su dazi d’altri tempi, per rendere le produzioni americane competitive rispetto a quelle importate dalla Cina. Certo, un progetto delirante e senza futuro. Però può urlare di tenere al “benessere” di questi ceti, che in molti casi dimostrano di seguirlo.

Il partito repubblicano invece è sempre in trincea con la retorica pro-imprese, il taglio delle tasse, la riduzione dell’intervento statale. Cassidy ricorda come alcuni conservatori si stiano rendendo conto di questo: per esempio Reihan Salam che su Slate ha scritto che per salvarsi, “il Partito repubblicano dovrebbe finalmente mettere la classe lavoratrice davanti alla classe di chi lo finanzia”.
Quindi, conclude Cassidy, il Gop dovrebbe provare ad andare oltre la Reaganomics, finendola con la finzione che i tagli alle tasse e un mercato libero senza regole possa produrre prosperità duratura per l’americano comune.

Il dibattito Gop del 3 marzo
Di questa lotta interna che potrebbe lacerare e paralizzare il Partito repubblicano si è avuta ulteriore conferma nel dibattito di giovedì 3 marzo, quando gli attacchi fra i quattro candidati che hanno partecipato (Donald Trump, Ted Cruz, Marco Rubio e John Kasich) sono stati pesanti e frontali, spesso scivolati nel cattivo gusto, con allusioni e doppi sensi.

Tra Rubio e Trump, in particolare il clima si è fatto subito teso, con il senatore di origini cubane che ha ceduto alla tentazione di sfidare il tycoon sul suo stesso terreno ed è partito con gli attacchi personali.
Tra le altre cose Rubio ha accusato Trump di produrre una sua linea di abbigliamenti in Messico e Cina, Trump ha risposto: Rubio “non ha mai creato un posto di lavoro in vita sua”.
Il miliardario di New York ha chiamato il giovane senatore “piccolo Marco” e lo ha incalzato su una battuta a doppio senso di Rubio nei giorni scorsi circa le mani ‘piccole’ di Trump.

Ted Cruz in questa situazione è rimasto quasi guardare. È cercato di sembrare saggio, serio e concreto

Di rilievo nella performance dei quattro candidati del Gop rimasti è la dichiarazione finale. I tre sfidanti di Trump hanno infatti detto, con una certa riluttanza, che se davvero Donald Trump otterrà la nomination, saranno pronti a sostenerla.

[Fonte: The New Yorker, Politico, Slate, Ansa]

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