Una nuova Tangentopoli in arrivo?

Hanno formalmente e pienamente ragione i consiglieri togati del Consiglio superiore della magistratura (nel caso specifico guidati dai magistrati di Area, la corrente più a sinistra): aprire una pratica su un procedimento in corso è irrituale e scorretto. Così è finita nel nulla la richiesta del consigliere Giuseppe Fanfani (avvocato, ex parlamentare della Margherita, ex sindaco di Arezzo nonché penalista del padre del ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi) il quale aveva chiesto che il Csm intervenisse contro il troppo facile arresto del sindaco di Lodi, un esponente del Pd sbattuto in carcere per l'accusa di turbativa d'asta. L'arresto è stato probabilmente troppo facile, ma non è il Csm che deve intervenire.

È un fatto strano, un atteggiamento nel quale s'intravvede del masochismo: da anni, quasi ogni volta che è scesa in campo contro gli eccessi dell'ordine giudiziario, la politica italiana ha combinato gaffe clamorose. Ma va detto anche che da anni la situazione è veramente grave, e lo è sempre di più. Va detto che lo squilibrio tra poteri continua a crescere ed è alimentato dalle punte sindacalizzate e politicizzate della magistratura. Va detto, soprattutto, che di formalismo in formalismo, di errore in errore, attraverso questa deriva di squilibrio la giustizia italiana sta andando in vacca.

L'ultimo scontro tra magistratura è politica è stato aizzato dall'improvvida intervista del nuovo presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Piercamillo Davigo, che il 22 aprile al Corriere della sera ha consegnato quella che a chi scrive è parsa una formale dichiarazione di guerra. Che cosa ha detto, Davigo? Che i politici rubano come sempre e addirittura non si vergognano neanche più; che il governo di Matteo Renzi ha varato e sta varando riforme negativissime in campo giudiziario; che destra e sinistra, da questo punto di vista (e forse anche oltre), si equivalgono.

In definitiva, il messaggio della magistratura sindacalizzata è lo stesso dei turbolenti anni "manettari" immediatamente successivi al 1992. Come ai tempi di Tangentopoli, se la politica è tutta corrotta e tutta tesa a produrre norme che cercano soltanto di ostacolare il salvifico lavoro dei magistrati, è evidente che ai magistrati va attribuito per consenso unanime il compito di incarcare il bene. In definitiva: le toghe incarnano l'unica salvezza, e si deve affidare loro la guida morale del Paese.

Ma le cose non stanno così. Di giudici presunti corrotti (dalle sezioni che gestiscono i beni sequestrati alla mafia ai tribunali fallimentari) sono purtroppo piene le cronache giudiziarie: probabilmente, se si facessero le proporzioni, sui 9/10 mila magistrati attivi in Italia la quota di quelli che sono stati coinvolti in una qualche vicenda criminale sarebbe molto superiore a quella dei politici. Nessuno è puro. Nessuno è perfetto. Nessuna categoria ha il crisma della verità né può impancarsi a giudice morale, rivendicando una presunta superiorità.

La categoria, al contrario, ha in sé difetti macroscopici e si macchia di colpe gravissime. Colpe non soltanto giudiziarie, ma "politiche" e comportamentali. È gravissima la situazione, per esempio, in quello stesso Csm dove le correnti hanno assunto uno strapotere pernicioso. Lo dicono anche i magistrati più intellettualmente onesti (e, si badi bene, di destra come di sinistra): per colpa delle correnti, il Csm è solo un mercato di nomine. Quanto alla funzione sanzionatoria, beh, lasciamo proprio perdere...

In realtà accadono cose sempre più vergognose, al Consiglio superiore della magistratura, il problema è che (parafrasando Davigo) anche lì nessuno si vergogna più. Nè si scandalizzano i giornali. Accade, per esempio, che un magistrato supertitolato ma senza corrente come Cuno Tarfusser, già procuratore di Bolzano e attuale vicepresidente del Tribunale internazionale dell'Aja, si candidi al posto di procuratore di Milano (vacante da mesi per le beghe e per le faticose trattative in corso tra correnti), e non venga nemmeno ascoltato dal Csm!

Quando poi Tarfusser, comprendendo di non essere gradito, rinuncia a un'audizione tardiva e alla candidatura, e si limita a protestare sommessamente per l'indecoroso trattamento subito, il Csm gli risponde con uno schiaffo in più, attraverso Piergiorgio Morosini, consigliere in quota a Magistratura democratica: "Ma Tarfusser non ci voleva venire in Italia" dice Morosini. "Si è trattato di una sua negligenza. Lo hanno convocato per un giorno, ma lui non poteva".

Per la disperazione, ci sono magistrati (e di sinistra dichiarata, come Bruno Tinti e Piero Tony) che ormai chiedono ad alta voce di modificare il sistema elettorale per la nomina dei consiglieri togati del Csm, passando a un criterio totalmente diverso: il sorteggio.

Purtroppo, la magistratura ormai fa politica in senso stretto. E non ha più nemmeno la minima percezione di questa anomalia. Le correnti, singoli magistrati in vista, la stessa Associazione nazionale magistrati contestano leggi, propugnano norme. Oggi per esempio l'Anm pretende (e di certo otterrà) una riforma della prescrizione lanciando parole d'ordine menzognere e sostenute dalla stampa fiancheggiatrice, quella che vive di intercettazioni e di veline giudiziarie.

È evidente che lo slogan “prescrizione più lunga, processi più brevi” è un imbroglio: più la prescrizione si allunga, più i processi si allungheranno. Così come è falso che la prescrizione sia un fenomeno dettato dall'estrema, disinvolta, oscena tattica dilatoria delle difese degli imputati. Il 71% delle prescrizioni degli ultimi dieci anni (dati ufficiali del ministero della Giustizia!) è intervenuta durante le indagini prelimninari: quando il potere è tutto chiuso nelle mani del pubblico ministero, e l'avvocato non ha alcun potere d'intervento.

Il problema è che di fronte a tutto questo la politica balbetta e va a rimorchio. Non reagisce. È così, probabilmente, anche perché è divisa. Il centrodestra oggi osserva gli arresti facili degli esponenti del centrosinistra e sotto-sotto ne gode. Ora tocca a loro, dicono da quella parte. E infatti tocca a Renzi cercare di arginare, tardivamente, quella che definisce la "barbarie giudiziaria" delle intercettazioni divulgate, delle manette facili, della gogna. Ma è tardi, davvero tardi. Il populismo giudiziario ha sfondato porte e finestre. Tanto che oggi fa quasi pena La Repubblica, che si mette a contestare con il dito alzato l'arresto facile del sindaco di Lodi, immemore di avere lanciato mortaretti a ogni tintinnio di manette.

E, temo, non abbiamo ancora visto nulla...



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