Tsipras e l'Europa: chi tiene in scacco chi?

Non solo il re è nudo, ma viene pure tenuto in scacco. Si può parafrasare in questo modo, con la fiaba di Hans Christian Andersen, la situazione che sta vivendo l’eurozona, nel rapporto con la Grecia di Alexis Tsipras. Prima il rifiuto del monitoraggio della troika composta da Fondo monetario internazionale (Fmi), Banca centrale europea (Bce) e Commissione Ue. Poi, le negoziazioni sempre più convulse. Infine, la rottura all’Eurogruppo di ieri, con il governo greco che rivela lo scontro di vedute fra i ministri finanziari dell’area euro e la Commissione europea. Ma il rischio è che, a forza di cambiare le carte in gioco, Atene resti con nulla in mano. 

Atene contro Bruxelles: la verità sull’Eurogruppo


La politica del caos

La politica del caos, del continuo rimescolamento di fronte, delle aperture e delle chiusure, dell’improvvisazione. È questo lo schema che stanno portando avanti Tsipras e il suo ministro delle Finanze Yanis Varoufakis. L’ultimo esempio di ciò si è visto all’ultimo Eurogruppo di ieri, che doveva essere quello decisivo secondo l’ultimatum fissato dal capo dei ministri finanziari della zona euro Jeroen Dijsselbloem. Ricostruire ciò che è successo è utile per comprendere in che modo sta operando la Grecia nel contesto europeo. Il mandato elettorale di Tsipras e Varoufakis è chiaro: fine del programma di sostegno esistente, considerato troppo oneroso per l’economia ellenica sotto il profilo fiscale e negoziazione di un nuovo accordo per riportare la crescita nel Paese. Punto. Nessuna uscita dall’euro, nessuna minaccia. Eppure, queste ultime sono arrivate, seppur in modo implicito. Dopo un weekend, l’ultimo, di trattative fra gli emissari della troika - Rishi Goyal (Fmi), Klaus Masuch (Bce) e Declan Costello (Commissione Ue) - e le autorità greche, non c’era ancora alcun accordo. Questo perché Atene, lo ha ribadito più volte, non vuole negoziare con un organo informale, ma solo con i singoli partner europei. Detto, fatto. 

Noi vogliamo negoziare in base alla bozza discussa con Pierre Moscovici

Le divisioni

Poco prima dell’Eurogruppo, il commissario Ue agli Affari economici Pierre Moscovici, su invito del presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker, prende da parte Varoufakis e iniziano a discutere sulla bozza di documento preparata da Palazzo Berlaymont. Una bozza che prevede un’estensione di quattro mesi del piano di salvataggio esistente, già peraltro esteso di due mesi nello scorso dicembre, e apre le porte a minori requisiti di consolidamento fiscale sia per l’anno in corso sia per il prossimo. In pratica, quanto voluto da Tsipras e Varoufakis. Poi, però, accade quello che spesso succede, Dijsselbloem decide di utilizzare il documento prodotto dall’Eurogruppo, anche su pressione del ministro tedesco delle Finanze Wolfgang Schäuble e dell’austriaco Hans Jörg Schelling. È una prassi normale, dato che è consuetudine discutere sulla bozza del documento presentato dal capo dell’Eurogruppo. Eppure, Varoufakis decide di mandare tutto all’aria, ricordando alla stampa e agli altri ministri che lui aveva un accordo di massima con Moscovici e Juncker. Inizia a far circolare la bozza, considerata oltraggiosa, di Dijsselbloem e interrompe ogni genere di dialogo perché vuole negoziare solo partendo dalla proposta di Moscovici e Juncker.

Il dilemma della credibilità

Ma quale credibilità ha un’eurozona che si lascia manipolare in questo modo, tenuta in scacco? Quale reputazione ha una Commissione europea che non è in grado di convincere le autorità governative elleniche che non devono uscire dal programma esistente? Il piano su cui si sta muovendo Tsipras è molto inclinato. Da un lato è consapevole di aver un largo, larghissimo, consenso elettorale in patria. E sa che se non mantiene le promesse date ai suoi cittadini, si apriranno le porte per una nuova crisi politica.

Dall’altro, tuttavia, Tsipras e Varoufakis devono tenere in mente che la dipendenza del Paese dall’area euro è molto elevata, specie se si guarda il sistema bancario. Se non ci fosse la Bce e il suo Emergency liquidity assistance (Ela), gli istituti di credito ellenici andrebbero a gambe all’aria entro poche settimane. Il caso vuole che proprio domani il Consiglio direttivo dell’Eurotower si incontrerà per decidere se rinnovare oppure no l’Ela erogato verso la Grecia. È possibile che arrivino delle pressioni su Mario Draghi, affinché stacchi anche l’ultima spina ad Atene, ma la Bce deve mantenere intatta la sua indipendenza.

Nessun bluff, vogliamo solo avere le condizioni per tornare a crescere

Il rischio di Tsipras

Varoufakis ieri ha ribadito, in conferenza stampa, che la Grecia non sta giocando. “Nessun bluff, vogliamo solo avere le condizioni per tornare a crescere”, ha detto il titolare del Tesoro ellenico. Ma il pericolo è che, con l’inasprimento della dialettica fra governo greco ed Eurogruppo, peggiorata dallo scontro sulle bozze dei documenti fra Dijsselbloem e Moscovici, Atene ottenga meno di quanto sperato. Ma i ricatti del governo greco possono anche provocare un corto circuito nella percezione che gli investitori internazionali hanno dell’area euro. O meglio, della sua governance. Certo, la colpa è anche della struttura di gestione politica dell’eurozona, carente, machiavellica e ostaggio non solo degli interessi nazionali ma anche di quelli di Commissione ed Eurogruppo, che lottano per contare di più l’uno a discapito dell’altro. Tuttavia, gridare a chiunque che il “re è nudo” proprio nella fase più difficile delle negoziazioni forse aiuterà a mantenere il consenso politico, ma di certo non aiuta l’area euro nel lungo periodo. 

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