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Trump-Usa: spiace dire "ve l'avevo detto"

Chissà in quanti saremo il mercoledì dopo il primo martedì di novembre del 2020 a scrivere e dire «ve l’avevo detto», quando Donald Trump sarà eletto al secondo mandato di presidente degli Stati Uniti d’America. Nessun giornalista dovrebbe scrivere la brutta frase «ve l’avevo detto». Se il compito è raccontare da un osservatorio privilegiato, e al momento opportuno trarre qualche conclusione, anche se urta le tue personali convinzioni, come in molte altre cronache, anche in quella della campagna elettorale del 2016 tutti avrebbero dovuto dire e scrivere che Hillary Clinton era il candidato perdente, non la futura Regina d’America. Si era letteralmente comprata il partito, sanando i debiti della precedente campagna elettorale, ma era un candidatodetestato dagli impoveriti Kowalski d’America - ricordate Gran Torino di Clint Eastwood, inimitabile cantore della rabbia e del disagio dell’americano medio - quelli che una volta lavoravano alla Ford, pagavano le tasse, crescevano figli, rispettavano il vicino, andavano in chiesa.

La Clinton era una tigre di carta, a condizione che qualcuno dall’altra parte si mettesse davvero non solo contro di lei ma contro il sistema che vedeva insieme democratici e repubblicani, i primi destinati a vincere ancora e ancora, secondo il messianico modello inaugurato da Barack Obama, i secondi felicemente rassegnati a perdere e dividere la torta. Intorno, la loro elefantiaca burocrazia, in buona parte di stanza a Washington, chiamatela, se volete, «Deep State», termine aborrito dalla élite progressista.

Donald Trump ha chiuso, grazie alla forza del sistema elettorale politico americano, otto anni di politica sbagliata e arrogante. Ha archiviato un presidente e una amministrazione che hanno osato pensare di spegnere il sogno americano di ascesa sociale e merito individuale, sostituendolo col veleno del politically correct che tutto pervade e ovunque si diffonde, fatto di accuse di fascismo, razzismo, omofobia, quasi tutte rivolte al bianco cattivo. Il quale a un certo punto non ne ha potuto più di sentirsi minoranza nella sua nazione e ha deciso di difendersi, anche se il veleno era già molto diffuso, anche se la vittoria di Trump è stata fin dall’inizio raccontata come un’usurpazione.

Così è partito il progetto folle di impeachment attraverso la vecchia storia della Russia cattiva rispolverata dalla Guerra fredda. La commissione presieduta dal procuratore speciale Robert Mueller è andata avanti a suon di milioni di dollari e agenti federali doppiogiochisti fino a ieri, mentreNew York Times e Washington Post insieme alla Cnn annunciavano ogni giorno la fine imminente nella polvere del tiranno. Nel frattempo disoccupazione ben sotto il 4 per cento, ovvero non ce n’è più, lavori part-time che diventano a tempo pieno, disoccupazione ai minimi storici di neri e latini, e dietro le quinte il lavoro di rottura di una amministrazione che intende cambiare il modo di difendere i confini, di amministrare la giustizia, di gestire il commercio internazionale, di impegnare nella difesa gli americani.

Alla fine la sentenza già pronunciata è finita in burletta, il procuratore speciale ha chiuso l’inchiesta senza colpevoli, rinunciando a ostinarsi nella caccia a un cavillo per incastrare Trump, come sognavano i salotti radical chic di New York, della West coast e di alcune capitali europee. Quelli che il garantismo si applica solo a loro, tutto il resto del mondo deve dimostrare ogni giorno di non essere colpevole.

E adesso? Adesso si gioca sul serio perché se il rapporto del procuratore speciale è partito dalle valutazioni fatte dal Fbi per finire nel nulla, chi nel «bureau» ha tradito e tramato? Per conto di chi se non dell’amministrazione Obama e del partito della Clinton? Se nel rapporto Mueller non c’è niente di tutto ciò, anche il procuratore speciale rischia grosso, insieme al resto del Deep State. Perciò, in attesa del nuovo «ve l’avevo detto», potrebbe cominciare Trump 2, la vendetta, e sarà un piacere assistere e raccontarla. 

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