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Tremonti come Visco: ecco a voi la Grande Inquisizione Tributaria

Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti (ANSA/ GUIDO MONTANI)

Annalisa Chirico

Zero misure per la crescita, occhio a chi tocca le pensioni. In compenso eccovi servito il progetto per la Grande Inquisizione Tributaria .
Era il 2008 quando il Ministro Visco (governo Prodi) ebbe la magnifica idea di suggellare il suo mandato (e passare alla storia) pubblicando sul sito dell’Agenzia delle Entrate i redditi dei contribuenti italiani del 2005. Il blitz poliziesco fu presto bloccato dal Garante per la Privacy perché, in una parola, “illegittimo”. Per una volta mi trovai d’accordo con Beppe Grillo, che si infuriò, non si sa se perché si conosceva il suo reddito milionario o piuttosto la sua età. Gli argomenti di Marco Pannella a favore del “diritto di sapere piuttosto che quello di essere ignorati” non mi convinsero affatto.

Visco esaltò la sua trovata come un “fatto di democrazia”. Probabilmente egli intendeva di “polizia democratica”, ovvero quel regime intriso di pressione e controllo sociale, che si instaura dal momento in cui il vicino di casa o un estraneo qualunque è in grado di conoscere perfettamente quanto guadagni e quanto (in teoria) potresti spendere. Un Grande Fratello legalizzato, la finestra di fronte dalla quale, come nel romanzo di Simenon, ti senti perennemente spiato. La polizia democratica fa leva sui sentimenti peggiori delle persone, alimenta invidia sociale e delazione fiscale.

Un conto è che, come oggi avviene, le denunce dei redditi siano a disposizione dei Comuni e dell’Agenzia delle Entrate. Altra cosa è che finiscano in Rete accessibili a chiunque in qualunque parte del mondo. Semplice. Se non fosse che nell’era di Wikileaks la retorica pro transparency assume talvolta i toni giacobini della conoscenza totale, assoluta; e se qualcuno prova a mettere in questione il teorema principale, ecco che si addensano su di lui i sospetti che abbia qualcosa da nascondere.

Non esiste un fantomatico diritto alla conoscenza totale. Esistono, per fortuna, dei limiti. Tra questi spicca il diritto personale alla riservatezza, ovvero a una “sfera d’indipendenza privata” che nessuno può violare (neanche la legge dello Stato!). Rinunciarvi in nome della lotta anti-evasione significa cedere un pezzo della libertà che ci siamo (duramente) conquistati in favore di una maggiore invasività nelle “vite degli altri”. Vite che di regola non ci competono, se non per quel tanto che ognuno di noi vuol far conoscere di sé a chi lo circonda.

Al di là dei pasticci dell’emendamento governativo alla manovra, quello che più preoccupa è la deriva fisco-poliziesca, che ormai imperversa a destra come a sinistra. Del resto, Visco non è più ministro, né Prodi premier. Eppure, pur di non toccare privilegi e rendite di posizione, anziché ridurre la spesa è meglio ingegnarsi per aumentare le entrate, senza comprendere che a tal fine occorrerebbe piuttosto abbassare le aliquote e garantire la certezza di poche e non mutevoli regole. Senza carcere, per favore, ché di carcere in Italia si muore.
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