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January 07 2019
Si stima che siano 600 i detenuti presenti nelle carceri italiane che sono a rischio "terrorismo islamico". Non è un caso, e non avviene solo in Italia, che proprio durante i periodi di prigionia avvenga quel processo di affiliazione e radicalizzazione. Un processo suddiviso in 4 fasi precise
E' la condizione da cui parte il fenomeno, su cui incidono fattori sociali e psicologici soggettivi, che rendono il detenuto (non per forza di religione islamica) più vulnerabile alle ideologie radicali: per esempio, un legame familiare o affettivo con chi abbia subito persecuzioni o atti discriminatori
E' la fase in cui il detenuto, influenzato dalla propaganda radicale, comincia ad identificarsi con chi le propugna. Il recluso non islamico si allontana dalla sua identità religiosa e dalle sue frequentazioni abituali per avvicinarsi a gruppi di reclusi musulmani.
Il detenuto intensifica il suo approccio alle tesi radicali. Questa fase porta all'associazione con altri reclusi, a volta anche soltanto per pregare insieme, e costituisce un serio indicatore di pericolo. Il detenuto indottrinato si fa crescere la barba e sulla fronte a volte spunta anche il callo della preghiera, tipico dei fanatici musulmani
E' la fase in cui il detenuto indottrinato passa all'azione ed alla dimostrazione, in nome della sua nuova ideologia. In carcere manifesta estrema aggressività nei confronti degli agenti della Polizia Penitenziaria. Il nuovo affiliato, in teoria, è pronto alla "Guerra Santa" e a partecipare ad azioni terroristiche