Shinzo Abe, premier "samurai"

Confermando tutti i pronostici, il Partito liberaldemocratico di Shinzo Abe è riuscito a strappare all'opposizione il controllo della Camera Alta. In un'elezione che ha riportato al Senato niente meno che Antonio Inoki, l'ex stella del wrestling nipponico oltre che protagonista del cartone animato "Uomo Tigre" e uomo di spicco della compagine ultraconservatrice del Partito della Restaurazione, che ha promesso di occuparsi soprattutto di energia e agricoltura.

Resta da vedere se, grazie al sostegno dei due rami del Parlamento nipponico, il premier riuscirà davvero a continuare indisturbato la sua rivoluzione economica o se, come tanti temono, il trionfo nelle elezioni al Senato lo spingerà a trascurare l'economia per concentrarsi su temi ben più controversi, come quelli della riforma della costituzione pacifista e del riconoscimento della sovranità delle isole Senkaku/Diaoyu e Takeshima/Dokdo contese, rispettivamente, con la Repubblica popolare cinese e la Corea del Sud.

Paradossalmente, quindi, la fase più difficile del secondo Governo Abe comincia oggi: la popolazione che qualche tempo fa, e non senza preoccupazioni, ha deciso di affidargli la guida del paese (anche) perché messa con le spalle al muro dalla disastrosa gestione politica ed economica dei democratici, garantendogli la maggioranza sia alla Camera che al Senato per i prossimi tre anni, di fatto gli ha chiesto di mantenere altissima l'attenzione sull'economia, da cui per molti dipende il futuro del Giappone. Cosa che Abe si è già impegnato a fare, anche andando contro gli interessi di alcuni elementi del suo stesso partito. Puntando tutto sul completamento della cosiddetta "Abenomics".

Così come sarebbe ingiusto aspettarsi che a Shinzo Abe possano bastare pochi mesi per risollevare il Sol Levante da vent'anni di stagnazione e (relativa) irrilevanza politica, va riconosciuto che Abe si trova oggi nella posizione ideale per porre fine a questa parabola discendente, potendo contare su un Governo forte e una popolazione disposta a sopportare oggi qualche altro sacrificio pur di stare meglio domani. Non solo: se Abe riuscirà a guidare il Giappone fuori dalla crisi, il paese recupererà gran parte del suo peso internazionale (e soprattutto regionale), ma sarà il premier stesso a diventare più forte e, perché no, a limare l'opposizione alle iniziative più controverse.

Sono questi i motivi che permettono di prevedere che l'Abe-pragmatico continuerà a prevalere sull'Abe ideologico, almeno per i prossimi tre anni, pur senza mai abbandonare del tutto le sue priorità politiche e strategiche di lungo periodo. Dal Giappone di Abe, quindi, possiamo aspettarci anzitutto che mantenga la promessa di sostenere i primi effetti positivi dell'Abenomics (Pil in crescita del 2% nel 2013, aumento di consumi, interscambio e investimenti), ottenuti grazie a una politica monetaria espansiva volta a indebolire il cambio dello yen e a un forte stimolo fiscale, con l'approvazione di quel doloroso e sempre rimandato pacchetto di riforme strutturali di cui la nazione ha bisogno con urgenza. Tra queste, la liberalizzazione del mercato del lavoro, riduzione della tassazione sulle imprese, liberalizzazione dei mercati, e accelerazione di altre iniziative utili per stimolare la crescita.

Prima di poter iniziare a pensare al problema della costituzione e ad assicurarsi il pieno riconoscimento della sovranità sulle Senkaku e sulle Takeshima, Shinzo Abe dovrà risolvere altri due problemi. Rassicurare la popolazione che anche qualora si ritrovasse costretto ad aumentare l'Iva dal 5 all'8% per contrastare un debito pubblico di circa dieci miliardi di euro, si tratterebbe di una misura temporanea e presto riassorbibile grazie agli stimoli positivi innescati dalle Abenomics. E rassicurare gli Stati Uniti che a dispetto di ciò che è stato scritto sulla riforma costituzionale, non è certo questo il momento per occuparsene. Come? Facile: confermando (domani stesso) l'intenzione di iniziare i negoziati per l'ingresso nella Trans-Pacific Partnership , l'organizzazione regionale apparentemente anti-Cinese "sponsorizzata" proprio dagli Usa. 

Così facendo, Abe potrà assicurarsi altri due vantaggi di lungo periodo in politica estera: il riavvicinamento a Washington, che potrebbe comportare non solo un nuovo consolidamento dell'asse Tokyo-Washington, che fino a qualche tempo fa hanno sempre enfatizzato la loro special relationship asiatica, ma potrebbe anche offrire ad Abe il canale giusto per riformare la Costituzione in maniera meno controversa. E l'allontanamento dalla Cina, che permetterebbe al Giappone di confermare di essere ancora un valido punto di riferimento alternativo alla Repubblica popolare e, di conseguenza, di rafforzare il proprio peso e appeal regionale

Infine, a dispetto delle sue priorità di lungo periodo, vale a dire ritrasformare il Giappone in una grande potenza, confermando che "un paese senza potere economico non ha potere diplomatico", un Abe pragmatico e lungimirante dovrebbe evitare, almeno per ora, di parlare troppo del problema delle isole contese e tenersi alla larga dal Santuario Yasukuni, dove sono sepolte le salme dei criminali di guerra. In questo caso, ci basteranno un paio di settimane per scoprire cosa ha in mente di fare il Primo Ministro.

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