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Scissione Pd: perché è una buona notizia

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Michele Emiliano durante l'assemblea nazionale del Pd all'Hotel Parco dei Principi, Roma, 19 febbraio 2017.
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Da sinistra: Michele Emiliano, Enrico Rossi e Roberto Speranza durante la presentazione del manifesto "Idee e proposte per cambiare l'Italia, la sinistra, il Partito Democratico" al Teatro Vittoria, Roma, 18 febbraio 2017
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Matteo Renzi all'hotel Parco dei Principi durante l'assemblea nazionale del Partito Democratico, Roma, 19 febbraio 2017.
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Pier Luigi Bersani, PD
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Enrico Rossi, Pierluigi Bersani, Guglielmo Epifani e Massimo D'Alema al teatro Vittoria di Testaccio durante il ritrovo nazionale dell'associazione Democraticisocialisti.
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L'ex presidente del consiglio Matteo Renzi durante l'assemblea nazionale del Pd all'Hotel Parco dei Principi, Roma, 19 febbraio 2017
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Il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, 12 ottobre 2016
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Matteo Renzi durante il suo discorso alla direzione Pd, Roma, 13 febbraio 2016
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Pierluigi Bersani con Massimo D'Alema in una foto d'archivio.
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Pier Luigi Bersani durante un incontro sul Referendum costituzionale, Napoli, 17 ottobre 2016.
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L'ex premier Matteo Renzi - gennaio 2017
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Pierluigi Bersani, esponente PD
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Pier Luigi Bersani con Matteo Renzi.
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Pier Luigi Bersani
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Matteo Renzi all'hotel Parco dei Principi durante l'assemblea nazionale del Partito Democratico, Roma, 19 febbraio 2017.

Possono separarsi e riscoprirsi invece di rimanere e sopportarsi.

La scissione del Pd può essere l’addio che riconcilia e non la catastrofe che si annuncia. Insomma, non è sempre vero che le scissioni sottraggono anziché aggiungere e non è mai vero che lasciare la casa sia un viaggio senza ritorno.

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Sono sempre le divisioni che hanno rinnovato le relazioni stanche, è partire il miglior modo per ricominciare. Dunque il Pd che (forse) si separa non è per forza l’occasione mancata ma l’insuperabile tentativo di stare insieme: è stato il matrimonio fra l’acciaio di sinistra e l’incenso di centro.

Sicuramente una novità italiana - "un amalgama mal riuscito" lo definì Massimo D’Alema che di pasticci, e non solo, gastronomici se ne intende - ma non per forza il destino irredimibile, un contratto prima ancora che una scelta.

E va subito detto che è merito della scissione se oggi il Pd in frantumi si è allargato. È stata l’euforia da fine mondo che ha fatto fuggire dalla sua tana da ragazzo vecchio il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, il laborioso governatore della Toscana, Enrico Rossi o il tormentato diavolaccio della Puglia, il mangiafuoco Michele Emiliano.

Ebbene è grazie alla scissione che la prevalenza della rottamazione ha fatto spazio agli spiriti nuovi e, perché no, alla futura classe dirigente come quella di Giovanni Taurasi che durante l’assemblea ha incantato tutti e restituito lo smarrimento del militante semplice chiamato, efficacemente, il “compagno Zeta”.

Certo è vero che la storia di sinistra è affollata di scissioni e movimenti, di velleità prima ancora che d’intenti. E però è altrettanto vero che sono stati i divorzi a ricordare il meglio degli inizi, è stato con l’odioso processo ai dissidenti del Manifesto che l’Italia si accorse dell’imbroglio sovietico e dell’ostinazione di partito, insomma del “si fa così” ma solo per partito preso.

Per questa ragione, domenica, più assistevamo alla direzione del Pd, agli spasmi e alle occhiatacce, più respiravamo l’aria guasta del malumore, e più comprendevamo che uscire fosse una necessità come per i pesci l’acqua, come per le asole i bottoni.

Fateci caso, proprio in queste ore in cui si concretizza la scissione, non c’è protagonista che non sia già in viaggio. Matteo Renzi è in America da dove scrive: "In cammino verso gli Stati Uniti"; Massimo D’Alema è a Benevento da dove spaventa tutti: "Ormai non mi fermo"; Enrico Letta da Parigi non si rassegna: "Non può finire così". Pure il sedentario Romano Prodi ha fatto sapere di essere in movimento, telefonicamente: "Faccio decine di telefonate".

In Italia è sempre stato il moto intellettuale e sentimentale a generare e produrre pensiero nuovo. L’editoria, ad esempio, è piena di divorzi fortunatissimi. Luciano Foà lasciò l’Einaudi per fondare l’Adelphi. Umberto Eco, proprio prima di morire, ha lasciato la Bompiani ed è salito sulla nave (di Teseo). E si potrebbe continuare con Indro Montanelli che abbandonò la sua stanza al Corriere della Sera per fondare un nuovo (G)iornale.

Solo quando si è separato dallo Stato il capitalismo italiano si è fatto maturo. Pure le famiglie che sono scoppiate non hanno danneggiato la tradizione ma ci hanno svelato la molteplicità dei geni. I due De Filippo, Eduardo e Peppino, litigarono e smisero di parlarsi ma non per questo il teatro partenopeo si è estinto, anzi, è stato proprio sfidandosi che uno ha mostrato i talenti dell’altro.

Solo le coppie comiche non sanno separarsi e quando lo fanno smettono di farci ridere e iniziano a farci piangere. Peggio delle scissioni compiute ci sono quindi solo quelle annunciate e minacciate che infatti si traducono in separatismi, pugni in tasca, azioni congelate in attesa di combustione.

Ebbene è forse da lontano che il Pd di Renzi può capire quello di Pierluigi Bersani, è osservandosi che possono tornare a corteggiarsi. È solo “andando via lontano a cercare un altro mondo/ dire addio al cortile/ andarsene sognando”, è solo allora, come cantava Luigi Tenco, che è possibile accorgersi di “non capirci niente” e “avere voglia di tornare”. Ciao, amore, ciao.

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