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Il 17 luglio sciopero dei penalisti a Milano

Non sono proprio giorni felici, per il Tribunale di Milano. Mentre continua il braccio di ferro tra il procuratore Edmondo Bruti Liberati e il suo aggiunto Alfredo Robledo, con un durissimo contrasto fatto di esposti e di vecchie ruggini, e mentre tutto intorno le correnti della magistratura sono in guerra per il rinnovo del Consiglio superiore della magistratura, ecco che a palazzo di giustizia scoppia anche la protesta degli avvocati.

Il prossimo 17 luglio, un giovedì, i penalisti milanesi terranno un'assemblea-sciopero perché il giudice Filippo Grisolia, in un'udienza che si è svolta lo scorso 20 giugno, ha dichiarato: «Se insistete a voler sentire dei testimoni inutili, in caso di condanna sarò più severo con gli imputati». Per i penalisti si tratta di una violazione «dell’autonoma determinazione del difensore nelle proprie scelte processuali». Le parole del magistrato sono state percepite soltanto come «una minaccia» da parte del giudice, ma anche come «la violazione riscontrata in più occasioni del principio dell’oralità attraverso l’iragionevole e grave compressione dell’esercizio del diritto difesa».

«Il giudice ha violato l’autonoma determinazione del difensore nelle proprie scelte processuali» scrivono i penalisti milanesi nella delibera a favore dell'astensione dal lavoro «che deve essere libero di valutare l’opportunità o meno di svolgere il proprio controesame; e, dall’altro, le norme che riconducono la commisurazione della pena esclusivamente a fattori ricollegati alla persona dell’imputato; e inoltre ha mostrato un’assoluta noncuranza per alcuni dei principi cardine del processo accusatorio, ovvero quelli del contraddittorio nella formazione della prova e dell’immediatezza del giudizio».

La vicenda non fa bene né al Tribunale di Milano, né alla giustizia nel suo insieme. Ne esce un'immagine deformata, con giudici apparentemente molto meno «terzi» di quanto servirebbe e tendenzialmente più favorevoli all'accusa. Questo accade proprio nei giorni in cui esce un saggio, curato dal grande giurista bolognese Giuseppe Di Federico, che s'intitola I diritti della difesa nel processo penale e la riforma della giustizia (Cedam editore, 224 pagine, 22 euro) e che denuncia esattamente questo tipo di parzialità del sistema giudiziario.

Sponsorizzata dall'Unione delle camere penali e svolta in piena autonomia dal gruppo di studio sull'ordinamento giudiziario dell'Università di Bologna, la ricerca è stata svolta nel 2013 e ha ascoltato quasi 2 mila penalisti italiani da Nord a Sud. Ne è emersa la conferma che il giudice è «più sensibile alle sollecitazioni del pm rispetto a quelle del difensore»: per gli avvocati è così nel 58 per cento dei processi «ordinari» e la quota sale al 71 nei procedimenti «rilevanti», più importanti e più seguiti dai mass media. Ed è sempre per questa parzialità che gli avvocati affermano che nel 73 per cento dei casi il giudice «accoglie sempre o quasi sempre» le richieste di un’intercettazione telefonica avanzata dal pm.

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