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Renzi, dopo l'Italicum, dovrà vedersela con gli elettori

Tutti a interrogarsi e a prender posizione sul piglio autoritario di Matteo Renzi che pone la fiducia e in una lettera a La Stampa elenca i pregi dell’Italicum (come se lo scontro fosse sul merito e non sulla forma: la sostituzione dei deputati Pd in Commissione e l’arma della fiducia che è pur sempre un “ricatto” politico e costituzionale). Ma chi si "interroga" appartiene al Palazzo. Non so quanto nel Paese questo interrogarsi, questo psicodramma sulla legge elettorale, sia sentito davvero.

Italicum: cosa prevede la nuova legge elettorale


Renzi si presenta come un premier che decide, e che pur di decidere (su un tema come la legge elettorale che richiede una decisione, per non lasciare il Parlamento in balìa di un vuoto e nell’impossibilità concreta di andare a nuove elezioni) dà fondo a tutti gli strumenti che le regole parlamentari e la Costituzione gli attribuiscono. La forzatura è pur sempre nei limiti della legge e della Carta. A contrastare il “fascismo” di Renzi è principalmente la minoranza del suo partito, del Pd. Ancora una volta, lo psicodramma è tutto interno a una sinistra che non riesce a dialogare con se stessa ed è devastata e frantumata proprio nel momento in cui il suo leader detiene il massimo del potere reale. Ma ancora una volta, lo scontro è limitato alla casta politica, peraltro delegittimata da elezioni (le ultime) che non hanno partorito vincitori.

L'Italicum in cerca di fiducia


Il paradosso di Renzi, semmai, è un altro. Perché non impiegare lo stesso piglio autoritario per assumere le decisioni di politica economica e fiscale che servono realmente al Paese? Su quel fronte, che interessa ai cittadini e non al Palazzo, il decisionismo renziano si trasforma nel suo opposto: in una sequela di annunci e promesse, pochissime mantenute. Nel Paese reale giovani, famiglie, imprenditori e disoccupati soffrono la latitanza di un governo effettivo. E poi c’è il peccato originale, che come tutti i peccati originali non smette di esercitare il suo ambiguo influsso sotterraneo: sarebbe più facile per Matteo Renzi governare col polso duro (sia pur formalmente democratico), se la sua premiership fosse il frutto di una investitura popolare. Invece governa a Palazzo Chigi, terzo presidente del Consiglio non “espresso” da elezioni politiche dopo il “tecnico” Mario Monti e Enrico Letta, grazie a manovre di partito e di corte.

L’investitura di Renzi è parlamentare, non popolare. Né può equivalere a un’investitura piena il risultato di oltre il 40 per cento del Pd nelle elezioni europee (perché, appunto, erano consultazioni per il Parlamento europeo e non per quello nazionale). Adesso ci sarà una nuova legge elettorale e la possibilità di andare al voto in ogni momento: elemento incontestabilmente positivo dell’approvazione a colpi di maggioranza e fiducia delle nuove regole. Ma fin quando Renzi non sarà passato attraverso la prova elettorale, il suo decisionismo apparirà a molti autoritario. E fin quando non adopererà lo stesso piglio decisionista o autoritario per risolvere i problemi dei cittadini e del Paese, il suo autoritarismo o decisionismo apparirà come un risiko di Palazzo per mantenere o incrementare il proprio potere.

A sconfiggere Matteo, se fallirà nel dare soluzione ai problemi degli italiani, saranno gli elettori grazie alla nuova legge elettorale, non certo quell’accolita di professionisti della politica e del frondismo che oggi tentano di fargli le scarpe nel suo partito ma si guardano bene dal mandare a casa la legislatura (e infatti, chi li nominerebbe o rieleggerebbe mai?). 

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