Il Pd lancia Prodi contro il Pdl

Io non so chi emergerà dalle macerie parlamentari come presidente della Repubblica per i prossimi sette anni. È possibile che la notte abbia portato consiglio o anche no. Che oggi i parlamentari dell’ex Pd, il “partito mai nato” come lo chiama Massimo Cacciari, si orientino a votare il simbolo della divisione e dello scontro, Romano Prodi, o insieme ai “portavoce” del Movimento 5 Stelle promuovano quell’anziano studioso molto in voga nei salotti snob che è Stefano Rodotà, che pochi conoscono al di fuori della cerchia della sinistra intellettuale. Una sorta di Noam Chomsky dei poveri.

Potrebbe anche emergere un nome “non sgradito” al Pdl, anche se “meno non sgradito” di Franco Marini, per esempio Massimo D’Alema o Luciano Violante. Per gli elettori di destra si tratterebbe pur sempre di personaggi impresentabili (si passi l’aggettivo normalmente usato per squalificare la destra: notoriamente la sinistra di impresentabili non ne ha…). Certo il Pd, vincitore di misura delle elezioni, ma è come se le avesse perse, ha smesso di guidare il balletto. La soluzione più sana, a questo punto, sarebbe forse una scelta di garanzia non politica (Cancellieri o Severino) ma, appunto, troppo saggia.

Decapitato del suo leader fasullo, con le sedi occupate dalla base, il Pd è del tutto inaffidabile. Impotente. Si è disintegrato. Svanito, smembrato nelle sue tribù, spappolato. Lo diceva, inascoltato, Paolo Mieli in un programma tv a un esponente del Pd, qualche giorno fa: come farete a spiegare alla vostra base, dopo che per più di un mese Bersani ha giurato di non fare accordi col giaguaro Berlusconi, che siete pronti a condividere un nome per il Colle e magari fare anche un governo insieme. (E dire che l’assemblea dei parlamentari democratici aveva pure approvato, votandolo, Marini. Salvo cambiare idea quando il “popolo di sinistra” si è ribellato. Bell’esempio di popolo. E di leadership.)
Potrebbe anche darsi che alla fine riesca a spuntarla proprio Prodi, che sta a Berlusconi come il diavolo all’acqua santa (e viceversa). E a quel punto naufragherebbe l’idea di una qualsiasi condivisione. Ecco, c’è da chiedersi se stiamo andando verso un “inciucio” tra la sinistra e i 5 Stelle spacciato per “cambiamento”.
Se sì, vorrei mettermi nei panni dei tanti elettori di Grillo che detestano la sinistra e, anzi, hanno un Dna liberale o di destra. Voglio fingermi un elettore di Grillo che disprezza la deriva stile “decrescita felice” di un utopismo illiberale fondato sulla farsa/truffa della democrazia diretta, delle consultazioni online inquinate da fantomatici hacker, e degli streaming a singhiozzo.
Ecco, se fossi quell’elettore (grillino e di destra) oggi sarei incazzato. Non deluso, perché consapevole d’aver voluto lanciare un segnale al Palazzo attraverso le invettive di un comico livoroso e fondamentalista. Mi sentirei tradito, calpestato, beffato. Saprei di aver mandato i grillini in Parlamento per sfasciare tutto e fare un gesto rivoluzionario, per ritrovarmi alla fine rappresentato dal peggio del peggio: una sinistra vecchia e arrogante. Che urla e poi si accorda. Che non resiste alle sirene del potere. Che vota Prodi. Una sinistra per la quale è affatto naturale che sia Gino Strada a distribuire patenti di rinnovamento, onestà e competenza, come se fosse inevitabile scegliere per il Quirinale un Rodotà. O, perché no, Gino Strada stesso. O la Gabanelli. O Margherita Hack. O Maurizio Pollini, formidabile pianista sempre orgoglioso del suo esser di sinistra. O il filologo Luciano Canfora. Come se il Quirinale fosse un premio letterario. Un Oscar alla carriera. Un super-salotto. Conta di più, nella scelta dell’uomo giusto, la prosopopea dei falsi intellettuali, che non la sofferenza operosa di chi sta fuori dai giochi ma sgobba ogni giorno per mettere insieme il pranzo e la cena e ha competenze reali: professionisti e imprenditori. Contano di più i guru e i matusalemme, che non i giovani alle prese con un mondo nuovo e crudele.
Beppe Grillo sta tradendo una buona parte dei suoi elettori, che non lo voteranno mai più, ma soprattutto sta lavorando contro l’unica soluzione: tornare al voto. Perché aggrappato anche lui al potere che si è conquistato, lui e la fitta masnada di miracolati dei suoi parlamentari. Possibile che il capo dello Stato debba venir fuori dalle consultazioni online gestite dalla Casaleggio & Associati per poco più di 40mila “smanettatori” del web, su una platea di 8 milioni di votanti?
Possibile che il futuro dei nostri figli, quanto di più sacro abbiamo, sia nelle mani di chi ha sempre sbagliato tutto e pretende ancora di farci la lezione avendo un consenso eternamente minoritario nel paese? La gente si uccide. Perde il lavoro e si ammazza. Il tempo passa con l’angoscia di chi lo vive come una sfilza di scadenze capestro e la prospettiva del fallimento in fondo al tunnel. E io mi dovrei sentire rincuorato perché Rodotà (chi è Rodotà?) siede sul Colle? O perché Grillo trova la quadra con Bersani e incorona Prodi?
Io sono stufo di parole, tutto mi fa male, tutto mi è indigesto. Ho il rigetto. Come direbbero i grillini: “Non mi sento rappresentato”. E ho paura.

YOU MAY ALSO LIKE