Corsa al Quirinale: l'elezione di Giovanni Leone (1971)

Questa volta non ce n’è per nessuno. Il Quirinale andrà alla DC e il prescelto è: Amintore Fanfani (Presidente del Senato). Però, perché c’è sempre un però, bisogna fare i conti con i soliti franchi tiratori che quando decidono di mettersi d’impegno non falliscono un colpo.

Con l’elezione di Saragat erano state necessarie due settimane e ventuno votazioni prima di arrivare alla conclusione con un Natale di mezzo e un Capodanno alle porte. Per il sesto Presidente bisognava chiudere tutto e subito. Come non detto: Giovanni Leone viene proclamato dopo quindici giorni e ventitre votazioni, due in più del suo predecessore, con il risultato letto a poche ore dalla nascita del messia.

Secondo Indro Montanelli per la corsa al Quirinale il primo obiettivo non è quello di eleggere il Presidente, ma di individuare l’avversario e di conseguenza eliminarlo dalla corsa, poi si poteva procedere all’elezione. E chi era il nemico numero uno di Fanfani e che gli impedirà l’elezione al Quirinale nel 1971? Giulio Andreotti. Nonostante negasse una sua avversione personale per il Presidente del Senato, sotto sotto ammetteva però che: “non siamo mai stati grandi amici”.

Oltre a Fanfani, i candidati democristiani erano: Aldo Moro, Giovanni Leone e Mariano Rumor. I repubblicani proponevano Ugo La Malfa. I socialisti invece avanzano tre nomi: Francesco De Martino, Giacomo Mancini e Pietro Nenni. Da ultimi ci sono il tecnico di turno Giuseppe Branca (presidente della Corte Costituzionale) e Giuseppe Saragat (per la tradizionale ricandidatura).

La battaglia comincia la mattina del 9 dicembre e che le cose non sarebbero andate come previsto lo si intuisce subito. Già negli ultimi giorni la candidatura democristiana aveva mostrato molte crepe e il segretario della DC, Arnaldo Forlani era arrivato a dire: “se passa è un miracolo!” Il primo scrutinio conferma le previsioni: De Martino 397, Fanfani 384. Alla seconda votazione il risultato è ancora peggiore con tutti i nomi in lizza che mantengono più o meno lo stesso bottino e il solo Fanfani che retrocede di una ventina di voti fermandosi a 368 preferenze. Forlani conosce chi sono i franchi tiratori e questi sanno che Forlani ha capito chi sono. Bisogna trovare un escamotage per cercare di portarli allo scoperto. Il vice segretario, Nino Gullotti, propone: “Ci scambieremo le schede prima di metterle nell’urna: rumoriani con andreottiani, colombiani con piccoliani, morotei con le destre; ognuno di noi controllerà un collega e le defezioni saranno praticamente impossibili”.

Cominciata la chiama, si vedono marciare verso l’urna i democristiani che sventolano la scheda consegnatagli dal collega in modo che tutti la possano vedere. Il povero Sandro Pertini, che presiede la seduta, invita i Grandi Elettori a comportarsi in maniera degna del loro compito. Il risultato è stampato su una scheda che lo stesso Fanfani, che siede accanto a Pertini in quanto Presidente del Senato, vede suo malgrado: “maledetto non sarai mai eletto”.

Al sesto scrutinio Giorgio Almirante comunica che i missini voteranno scheda bianca. Manna dal cielo per i franchi tiratori. Per evitare che il Capo dello Stato possa essere eletto con l’aiuto dei voti fascisti, i democristiani decidono di astenersi. In lontananza comincia a delinearsi la figura di Giovanni Leone per riunire tutte le correnti.

Dopo il dodicesimo scrutinio si riunisce il direttivo democristiano; è la notte dei lunghi coltelli. Forlani scarica ufficialmente Fanfani. L’atmosfera è incandescente con il deputato Carlo Ceruti che si alza di scatto, afferra una sedia e rivolto a Forlani urla: “Fanfani o morte!” Alla ventesima votazione gli astenuti sono 546; un record. E’ dalla settima votazione che i Grandi Elettori democristiani non hanno la possibilità di esprimere la propria preferenza per eleggere il nuovo Capo dello Stato. Passano ancora due scrutini è arriva il momento di Giovanni Leone, mentre i socialisti, dopo aver fatto consumare De Martino per 21 votazioni puntano nuovamente su Pietro Nenni. L’esito è 503 a 408. Tutto è deciso, il 24 dicembre  Leone viene eletto Capo dello Stato con 513. Ancora una volta Fanfani è sconfitto.

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