Perché la sconfitta del PSG ha fatto godere tutti

Non si può essere ipocriti: il tracollo del PSG al Bernabeu contro il Real Madrid ha provocato un malcelato senso di godimento in mezza Europa del calcio. Quella che sostiene i tre club della (fu) Superlega e quella che non si rassegna allo strapotere economico e politico dello sceicco Nasser Al-Khelaifi, presidente dei parigini e ora uomo forte dentro la UEFA dopo che il suo club si è schierato dalla parte di Ceferin nella guerra ai ribelli. Addirittura nominato sul campo dal numero uno di Nyon come "mente lucida" , capace di mantenere "una concentrazione acuta" e portatore di "una visione positiva su ciò che deve essere fatto per rendere le cose migliori per il calcio europeo".

Una sorta di Robin Hood del pallone, insomma, passando sopra con leggerezza ai miliardi investiti a pioggia sul gioiellino parigino per cercare di scalare le vette della Champions League, sempre respinto con perdite, anche a costo di manovre spregiudicate in tema di rispetto delle norme del Fair play finanziario. Un sodalizio così stretto e a prova di buonsenso da far dimenticare come il richiamo al calcio del popolo e al rispetto dei piccoli club, pronunciato dal più ricco e più disposto a comprarsi tutto semplicemente facendone il prezzo, non poteva non passare inosservato alla moltitudine di chi non ama passare per fesso.

Insomme, la sfida tra Real Madrid e Paris Saint German era una bomba ad orologeria e la dissoluzione della squadra di Mbappé-Neymar-Messi-Di Maria-Verratti-Hakimi-Donnarumma (e tanti altri), con contorno di scenate dello stesso Al-Khelaifi nello spogliatoio dell'arbitro, ha suscitato più di un fremito di piacere in giro per l'Europa. Dove, per intenderci, lo stesso Real Madrid ha sempre rappresentato il potere, spesso esercitato con arroganza, circostanza superata però dagli ultimi avvenimenti.

Al Bernabeu non ha vinto il calcio del popolo, espressione abusata nell'ultimo anno in nome della guerra santa sulla Superlega. Non può eleggersene a rappresentante Florentino Perez che è alla guida della multinazionale del pallone più multinazionale di tutte. Però ha perso il calcio di plastica del PSG, dei suoi miliardi e delle sue provocazioni dialettiche. Ha perso, agli occhi di tanti, il simbolo del Mondiale portato in Qatar solo per questioni di business. Ha perso chi non si è fatto scrupolo di mettere insieme una collezione di figurine immaginando che potesse trasformarsi in squadra. Ha perso anche Ceferin, visto che (agli occhi di tanti) la scelta di Parigi come nuova sede della finale di Champions League dopo l'inevitabile cancellazione di San Pietroburgo era parsa l'ennesimo favore fatta all'alleato anti-Agnelli.

In poche parole e senza ipocrisia, nelle volate stoiche di Modric e nella tripletta del vecchio Benzema - ma anche nella goffa papera di Donnarumma e nello sterile girovagare per il campo di Neymar e Messi - in molti hanno visto la sconfitta dei potenti e degli arroganti e la vittoria dei buoni. Sia chiaro che non è così, ma in questo modo è apparso per una notte e l'immagine ha fatto il giro del mondo mentre i social rilanciavano le cronache della crisi di nervi di Al-Khelaifi negli spogliatoi. A Parigi il 28 maggio prossimo ci andranno altri, ricchi sfondati allo stesso modo ma non lui che per una serata ha fatto la figura di un novello Rockerduck: in un angolo a mangiarsi il cappello per la rabbia con intorno tutti gli altri a festeggiare la sua sconfitta.

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