Prima Sfumatura. Della chiavetta del caffè

Chiariamo subito una faccenda: gli stagisti non hanno la chiavetta del caffè. O meglio: la potrebbero avere, se seguissero l’iter predefinito. Nell’ordine: intercettare l’Uomo Delle Chiavette, chiedere a un collega più anziano di fare da garante, compilare il modulo A, consegnarlo all’ Ufficio Centrale “Chiavette, Caffè, TrattoPen e altri generi di conforto”, allegare curriculum vitae e almeno tre lettere di referenze.
E’ un percorso formativo, ottenere la chiavetta. Oppure è tutto Kafka concentrato in una stecca di plastica. Dipende dai punti di vista.

Lo stagista comunque, gode del diritto al caffè (o cappuccino, mocaccino o bevanda al gusto di the al limone) al pari di tutti i dipendenti. In genere si dà appuntamento con altri stagisti alla macchinetta del caffè, sperando che qualcuno l’abbia chiesta ai colleghi. Poi irrimediabilmente ci si ritrova a fissarsi dai lati opposti del corridoio, in una specie di stallo alla messicana, per capire che – sì, anche quella volta – tutti si sono dimenticati di chiedere in prestito una chiavetta a qualcuno.

Una volta ho visto una chiavetta con un sacco di soldi dentro. Allora ho pensato che la chiavetta in un’azienda fosse una specie di bene rifugio, un investimento tipo i franchi svizzeri. O il rame, anche.

Poi c’è la chiavetta comune, vera dimostrazione che attuare il socialismo reale è possibile, almeno nelle piccole cose. Giace sulla scrivania del delegato sindacale (e dove altrimenti?) ed è lì per tutti, monumento alla condivisione e alla caffeina a buon mercato.
E alla fine c’è il caffè al bar, ma per quello l’iter è decisamente più breve: stagista o no, basta andare dritti dal barista simpatico.

photo credits: Wikimedia Commons/ Laurette45

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