Piloti Ryanair: i settori a rischio per gli stipendi "low cost"

La cancellazione di migliaia di voli da parte di Ryanair fino a marzo 2018 che lascerà a terra 400 mila passeggeri, che molto probabilmente avrà pesantissime conseguenze sull'immagine e sui conti della compagnia irlandese, accende i riflettori sulla sostenibilità dei modelli  "low cost".

Già, perché dietro il caos di questi giorni c'è un problema di "employee retention", direbbero gli esperti in risorse umane, ossia di scarsa capacità di trattenere i propri dipendenti, puntando sulla loro soddisfazione: livello degli stipendi, possibilità di fare carriera, incentivi (non solo economici), qualità dei progetti assegnati, del clima aziendale e delle relazioni tra i collaboratori.

Le compagnie low cost

La "vera" causa del caos Ryanair, mai accaduto ad alcuna compagnia aerea prima, è da individuare nella fuga di circa 700 piloti che si sono licenziati negli scorsi mesi e che andranno a lavorare per compagnie concorrenti: all'errata gestione del piano ferie dei dipendenti, la scusa addotta dalla compagnia guidata da Michael O'Leary, non ha creduto nessuno.

Piloti, assieme ad altri 150 colleghi, hanno preferito fare le valige per trasferirsi in compagnie che hanno retribuzioni decisamente più appetibili: Ryanair in tutti questi anni è riuscita a vendere biglietti a prezzi stracciati, grazie a un maniacale contenimento dei costi che ora gli si sta ritorcendo contro. Ovvio che le prime aziende a tremare di fronte al caso Ryanair sono ora le altre compagnie low cost come Easyjet e Vueling.

Il caso Uber

Un'altra clamorosa fuga di massa, anche se meno documentata, è quella che ha colpito il quartier generale di Uber in California. L'app che mette in collegamento passeggeri e autisti (che spesso sono tassisti "improvvisati" e sprovvisti di licenza) avrebbe dovuto stravolgere il trasporto di massa mettendo ko il mercato dei taxi.

Ma a inizio anno, come riportava il Financial Times, molti dipendenti e manager hanno fatto le valige di fronte ai piccoli scandali e problemi legali che hanno minato la reputazione della società e alla capacità dell'azienda di ripetere quest'anno la crescita a due zeri degli scorsi anni.

Una situazione che avrebbe spinto molti a cercare altri posti di lavoro nell'area di San Francisco dove si è registrato un incremento delle richieste di lavoro del 10% rispetto al passato nel primo trimestre dell'anno. Senza contare che Londra (dopo molte città europee) non ha rinnovato la licenza all'operatore, rischiando di compromettere gli affari ai 40 mila "autisti" che operano nella City e che potrebbero decidere di lavorare con altre società di ridesharing.

Camion e furgoni

Il settore dell'autotrasporto in Italia è in crisi da otto anni a causa della concorrenza dai vettori dell'Est Europa che hanno imposto una guerra al ribasso sui prezzi spingendo fuori dal mercato 70 mila padroncini dal 2009 a oggi, come ricorda la CGIA di Mestre. L'effetto dumping dei camionisti dell'Est Europa ha portato alla chiusura di 17.000 aziende di trasporto in sei anni.

Le università in Italia

Non è un'azienda, ma il sistema universitario italiano perde ogni anno 3 mila dottori di ricerca su 11 mila che conseguono il titolo e che lasciano l'Italia per cercare fortuna all'estero. Andando a lavorare in università e centri di ricerca "concorrenti".

Motivo? Le università italiane assumono con il contagocce, i posti vanno spesso agli allievi più fedeli dei "baroni" e non per meritocrazia; e la possibilità di carriera sono limitate, con il rischio di restare ricercatori (che spesso sono professori "low cost") a vita.

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