Pier Luigi, non aprire quella porta

Ieri Pier Luigi non voleva uscire da quella porta. E non perché sentisse il peso della troppa responsabilità, del troppo ruolo. No, lui non è il cardinale Melville di Nanni Moretti: lui quella responsabilità la vuole tutta, il peso lo sente, il ruolo lo tenta.

Ieri Pier Luigi non voleva uscire da quella porta. Perché voleva portare parole diverse, voleva tornare indietro, a quelle consultazioni, a quei giorni della marmotta in cui aveva preso solo sberle, il viso segnato, la cravatta troppo stretta, come un cappio al collo.

Ieri Pier Luigi non voleva uscire da quella porta. Per un po’ è rimasto in piedi lì dietro, i giornalisti che aspettavano dall’altra parte, a riprendere non-immagini che avrebbero di lì a poco raccontato un non-governo. Per un po’ è rimasto in piedi lì dietro, a digrignare i denti come fa lui, a fissare lo schermo del telefono, come quelli che aspettano la risposta a un invito a cena di troppe ore prima, quelli che stanno lì a convincersi da soli, «Dai, non è troppo tardi, potrebbe ancora chiamare per dirmi che viene».

Ieri Pier Luigi non voleva uscire da quella porta. E poi è uscito. Ha percorso soltanto due metri, ma erano il miglio verde. Il viso segnato, la cravatta troppo stretta. Il telefono ancora in mano, l’ha guardato un’ultima volta prima di parlare, come a sperare nel whatsapp di un Casaleggio qualsiasi.

Ieri Pier Luigi non voleva uscire da quella porta. E poi è uscito, e il mondo era cambiato. Non c’era il suo governo, e c’era già pronto il governo di quell’altro. Quello che, nel giorno più triste di Pier Luigi, diramava comunicati stampa per annunciare la prime consultazioni del prossimo esecutivo: l’ospitata da Maria De Filippi.

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