Matteo Salvini
ANSA/ANGELO CARCONI
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Perché Salvini è diventato il bersaglio di tutti

Persino l’idolo adolescenziale, lo scorbutico cantautore di genio, gli si è rivoltato contro. Il giovane Matteo, nelle lunghe estati in Val Rendena, imbracciava la chitarra. Davanti agli amici delle vacanza, socchiudeva gli occhi prima di attaccare: “Non so che viso avesse, neppure come si chiamava…”, La Locomotiva di Francesco Guccini. Il macchinista anarchico che lancia un convoglio addosso a un treno per i signori incravattati. Salvini, con debite cautele ideologiche, si sente animato dallo stesso moto. L’artista emiliano, però, non l’ha presa bene: “Anche Dante è stato letto da cani e porci” è sbottato. A rimarcare l’ennesima e siderale distanza dallo scomodo ammiratore.
E’ questo il venticello che tira. Manifestanti, alleati, premier, euroministri, magistrati, giornalisti, cardinali, scrittori e cantautori. Tutti lancia in resta: contro l’odiato invasore.
L’italico benpensantismo non si tocca. All’armi, dunque. I denigratori mezzi giustificano il machiavellico fine. Ovverosia: l’imminente voto europeo. Significativa prova del nove, dopo un anno di tumultuoso governo gialloverde. Veniamo al busillis: la Lega rischia grosso. Grossissimo: raddoppiare, mal che vada, quel 14 per cento delle politiche. Inaudito. Così, la caccia grossa è partita. Bersaglio mobile: il vicepremier.
Incontri, visite, comizi. Il leader del Carroccio è una trottola elettorale. Difficile evitare l’inciampo: contestazioni, striscioni, offese. La Verità ha già tirato le prime somme. Dall’1 gennaio al 25 aprile 2019, il ministro dell’Interno ha collezionato 127 malevolenze. Tra cui 60 intimidazioni: letterine minacciose, scritte auspicanti fine imminente, ingiurie telematiche. E una ventina di plateali contestazioni. Risultato: 70 persone denunciate. Ma la scadenza elettorale incombe. Occorre serrare i ranghi. Insulti e violenze prosperano. I neofacisti no pasaran.
L’antisalvinismo ha raggiunto vette inesplorate. Lassù s’è inerpicato pure il redivivo Beppe Grillo, fondatore dei Cinque stelle: «Lo manderei a calci a fare il suo lavoro al Viminale». Intanto Luigi Di Maio, leader del Movimento e socio di governo, gongola. Meglio: rincara. Un dileggio al dì: prima e dopo i pasti. Per tentar di svicolare dal cantone in cui l’aveva cacciato il ministro degli Interni, popolato da sondaggi in picchiata e crisi identitarie.
La stura è il «medievale» Family day, celebrato da Salvini: «A Verona c’è una destra di sfigati» insolentisce Di Maio. Poi, il diluvio. Con un unico fine: tentar di fiaccare gli altrui consensi. Rimproveri: «La Lega la smetta con i fucili». Intimazioni: «Basta ultradestra». Moniti: «La finisca con l’estremismo di destra e i comportamenti da casta». Biasimi: «È chiaro che ormai c’è un’emergenza corruzione, che riguarda tutti i partiti. La scelta è tra noi e Tangentopoli bis». Parole, quest’ultime, pronunciate dopo dell’arresto del sindaco leghista di Legnano, Giambattista Fratus, per turbata libertà degli incanti e corruzione elettorale...

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