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FRED DUFOUR/AFP/Getty Images
Economia

Perché Pechino ha svalutato lo yuan

La Cina ha svalutato la sua monetatre volte in tre giorni. Il 4,65 per cento di valore che lo yuan ha perduto sta spaventando tutti: le borse internazionali, gli investitori, i paesi che rischiano di ritrovarsi tutto ad un tratto di nuovo molto meno competitivi della Repubblica popolare e i governi.

Pechino si giustifica sottolineando quanto questo intervento fosse necessario per raggiungere due obiettivi: rilanciare la crescita nazionale restituendo slancio alle esportazioni, e aiutare lo yuan a diventare più reattivo alle oscillazioni dei mercati internazionali.

Quella della Cina è una strategia che ha spiazzato tutti. Del resto perché prendersela con la Cina se è da quando è scoppiata la crisi finanziaria internazionale nel 2008 che le viene chiesto di "prendersi le sue responsabilità" e "trasformarsi nel nuovo motore dell'economia globale" e, da ancora prima, di smettere di manipolare la sua valuta nazionale per lasciarla oscillare "così come i mercati vorrebbero"? Beh, forse perché, nonostante tutto, nessuno riesce a fidarsi delle Repubblica popolare. Essenzialmente perché nessuno è mai riuscito a capire, e tantomeno a prevedere, quali fossero i suoi piani.

Che le intenzioni cinesi siano difficili se non impossibili da intuire, lo ha confermato questa stessa "tripla svalutazione". Dopo il -1,9 per cento annunciato a inizio settimana, nessuno si sarebbe mai aspettato di arrivare a -3,5 per cento 24 ore dopo e addirittura al successivo -4,6. Tuttavia, per capire cosa sta succedendo e cosa ci aspetta l'unica cosa che possiamo fare è provare a immaginare le conseguenze di questa svalutazione sulla Cina e analizzare le implicazioni delle stesse per il resto del mondo.

Lo yuan e la crescita economica

L'effetto immediato di questa svalutazione è certamente quello di rendere le esportazioni cinesi più competitive e far ripartire così la crescita. Da questo punto di vista, i dati sono molto preoccupanti. Se fino a qualche anno fa si diceva che un tasso di crescita all'8 per cento era essenziale per mantenere la piena occupazione e continuare a combattere la povertà, da quando il Pil si è assestato su valori di poco superiori al 7 per cento l'equilibrio perfetto è stato ritarato su un tasso di sviluppo del 6 per cento. Eppure, sono sempre di più gli analisti cinesi che ritengono che la crescita reale si stia rapidamente e pericolosamente avvicinando a un "misero" 4 per cento. Un traguardo che il Partito non può davvero permettersi di tagliare, pena la sua stabilità.

Lo yuan e le riforme

Se è vero che questa svalutazione è stata pensata per offrire all'economia nazionale qualche boccata d'ossigeno, è anche vero che così facendo il partito guadagna tempo per andare avanti con le riforme, mettendo quindi indirettamente in chiaro che l'economia del paese avrà sempre più regole e, in risposta agli speculatori che nelle ultime settimane hanno fatto traballare i mercati finanziari, che gli spazi per chi vuole giocare in maniera troppo rischiosa verranno progressivamente ridotti.

I motivi della doppia svalutazione

Se sono queste le ragioni della salutazione, perché farne due a così poco tempo di distanza l'una dall'altra? Questa scelta non può essere nemmeno giustificata con un "valutiamo gli effetti della manovra prima di decidere se ampliarla o no". Beh, che ci si creda o no, potrebbe essere stato un semplice errore di valutazione. Dopo essersi resa conto che le conseguenze di una svalutazione dell'1,9 per cento sarebbero state minime, il partito ha deciso di intervenire, pur senza arrivare a tassi davvero preoccupanti. Del resto, quello che in questi giorni la maggior parte degli analisti cinesi continua a ripetere è che la vecchia politica che ha tenuto così a lungo legati il valore del dollaro e quello dello yuan ha portato dal 2005 a oggi a una rivalutazione dello yuan del 30 per cento. In un contesto più libero, questo aumento, che ha danneggiato la competitività della Cina, non ci sarebbe stata.

La Cina e il mercato libero

C'è poi un'ultima ipotesi da prendere in considerazione. Ovvero che la Cina non stia svalutando per rilanciare il mercato interno ma solo per riuscire, entro la fine di ottobre, a convincere il Fondo Monetario Internazionale che lo yuan è pronto per essere inserito tra le valute che il Fondo utilizza come riserve. I vantaggi economici e strategici di questa "promozione" sarebbero enormi, e meritano di essere "pagati" con una leggera svalutazione. Del resto, dicono alcuni economisti, per avere davvero un effetto immediato sulle esportazioni Pechino avrebbe dovuto svalutare del 20, o del 40 per cento, non del 2 o del 4. Il regime non può continuare, come ha fatto qualche mese con la AIIB, ha creare istituzioni alternative quando per motivi ben precisi viene esclusa dai club dei potenti già esistenti. Ma deve imparare ad adattarsi, altrimenti rimarrà per sempre una grande potenza di Serie B.  Questa svalutazione, oggi, sembra dimostrare che la Cina ha voglia di fare nuovi passi avanti verso la trasparenza e le prevedibilità. Speriamo solo non decida altrettanto in fretta che in realtà le converrebbe di più tornare indietro. 

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