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Perché il processo alla strage del Rapido 904 dovrà cominciare da capo

La strage è quella del “Rapido 904”. Ma il processo rischia adesso di essere tra i più lenti al mondo. Proprio all’indomani dell’annuncio con cui il Guardasigilli, Andrea Orlando, ha garantito a Cernobbio che “entro l’anno sarà completato l’organico dei magistrati, oggi carente di 1.200”, e che con altre misure saranno accelerati i tempi della giustizia, oggi è stato “rinviato a data da destinarsi” il procedimento penale in corso davanti alla Corte d’appello di Firenze per la strage del rapido 904, avvenuta il 23 dicembre 1984.

Quel giorno di quasi 33 anni fa un ordigno collocato sul Rapido Napoli-Milano veniva fatto esplodere nella galleria di San Benedetto Val di Sambro, sull’Appennino tosco-emiliano, causando la morte di 16 persone e il ferimento di altre 267.

Particolarmente feroce (gli autori attesero intenzionalmente che il veicolo entrasse nel tunnel proprio per accrescere l'effetto dell’esplosione), viene ricordato dalle cronache anche come “la strage di Natale”.

Riina, presunto mandante, poi assolto

Fu il magistrato fiorentino Pier Luigi Vigna a scoprire che l’attentato aveva origini mafiose. Varie testimonianze, tra le quali quella del “pentito” Giovanni Brusca, indicavano nel boss di Cosa nostra Totò Riina il mandante della strage, che sarebbe stata decisa come risposta all’efficace attività investigativa siciliana di quel periodo e “appaltata” alla camorra napoletana per la sua esecuzione materiale.

Con la sentenza di primo grado, nell’aprile 2015, era stata accertata la matrice mafiosa della strage ed erano stati condannati quattro imputati: il boss Pippo Calò, l’esponente della camorra Giuseppe Misso e due suoi fedelissimi, Alfonso Galeota e Giulio Pirozzi. Se l’era cavata, invece, il presunto mandante: e cioè Riina, che pure finora ha incassato condanne definitive per 19 ergastoli ma per questo reato era stato assolto.

Due anni fa, proprio contro il proscioglimento di Riina, i pubblici ministeri fiorentini avevano fatto ricorso in appello.

Perché chi doveva, non ha previsto?

Oggi, però, il processo di secondo grado è stato rinviato a causa del pensionamento del presidente della corte, Salvatore Giardina, che è previsto per i primi di ottobre. E il risultato è un disastro, dal punto di vista processuale, perché adesso il procedimento deve ripartire dal punto di partenza: sarà necessario risentire tutti i testimoni già ascoltati in primo grado.

Lo prevedono le modifiche apportate nello scorso giugno all’articolo 603 del Codice di procedura penale (una riforma voluta dal ministro Orlando) che impongono al giudice, nel caso di appello presentato dal pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento, di disporre la riapertura completa dell’istruttoria.

La norma, d’impronta garantista, prevede che “Nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale”.

Cambiando a Firenze il presidente della corte giudicante, il processo d’appello sula strage del Rapido 904 deve seguire questa nuova regola, più favorevole all’imputato.

Viene da chiedersi oggi perché, visto che il processo d’appello è iniziato all’inizio del 2016, nessuno avesse previsto il rischio connesso a un presidente di sezione che, si sapeva fin d’allora, sarebbe andato in pensione soltanto una ventina di mesi dopo.

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