Papa Francesco, il lavoro e la giustizia sociale

Un Papa completamente diverso da tutti i suoi predecessori. Questo è vero. Ma non solo perché è il primo non europeo, il primo latino-americano, il primo gesuita, il primo a chiamarsi Francesco. Questi, in realtà sono dettagli. Andando un po’ più a fondo si scopre che l’ex Cardinale Jorge Bergoglio ha una visione dell’economia e della giustizia sociale sostanzialmente incompatibile con molto dell’ottimismo liberale che, nonostante la crisi ne abbia messo in difficoltà i fondamentali, continua a ispirare le politiche economiche occidentali.

Per scoprire che cosa pensa dell’economia, della globalizzazione e della finanza, occorre andare alle fonti. Ad esempio ad un discorso che Jorge Bergoglio ha tenuto il 17 maggio del 2007 ai 162 vescovi della Conferenza episcopale dell’America Latina che contraddice la teoria secondo la quale la crescita economica porta con sé occasioni di arricchimento per tutti. Certo, a guardare i dati questo sembra essere vero, ma, da arcivescovo di Buenos Aires, Bergoglio la pensava molto diversamente.

Usò, infatti, parole durissime contro la diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza che provoca una “ingiustizia scandalosa che ferisce la dignità personale e la giustizia sociale". Questa “ingiusta distribuzione della ricchezza crea una situazione di peccato sociale che grida al cielo e che esclude la possibilità di una vita più piena di molti fratelli” per questo occorre “eliminare le cause strutturali delle disfunzioni dell'economia mondiale”, disse.

La portata rivoluzionaria di quest’ultima espressione è clamorosa e tutto fa pensare che non si tratti di una espressione giustificata dalle drammatiche condizioni dell’economia del Paese, ma che sia una visione globale, un punto di vista alternativo (fortemente alternativo) sulle cause della povertà.

Sempre nella stessa occazione, infatti, il futuro Francesco I si scagliò esplicitamente contro la globalizzazione e “l’idea neoliberista”, definita “ideologia economica e sociale”, che “ha influenzato negativamente la vita dei più poveri" i quali non sono “sfruttati”, ma sono considerati degli “avanzi” della società.

Gli stessi concetti l’Arcivescovo di Buoenos Aires ha ripetuti nel 2011 in occasione del Congresso di Dottrina Sociale tenutosi in Argentina. In quell’occasione il cardinale Bergoglio criticò “una economia che offre possibilità quasi illimitate in tutti gli aspetti della vita a coloro che riescono a essere inclusi nel sistema”. Il discorso venne pronunciato in occasione del quinto anniversario del rogo in una fabbrica tessile di Buenos Aires nel quale rimasero uccisi una madre ed i suoi 5 figli. Una tragedia che fece dire al futuro Papa che a Buenos Aires esiste ancora “lavoro schiavo”.

Ma gli esempi di vicinanza del Cardinale ai problemi del lavoro si contano a centinaia. È, ad esempio, molto vicino alla cooperativa La Alameda, che ha lanciato "No Chains", un marchio di abbigliamento che confeziona vestiti cuciti da lavoratori salvati da laboratori tessili clandestini. “C’è ancora molto lavoro da fare in Argentina per la giustizia sociale”, disse. E ha ragione: nel Paese sarebbero mezzo milione le persone che sono di fatto ridotte in schiavitù in fabbriche e laboratori clandestini contro i quali il governo di Cristina Kirchner dimostra una certa tolleranza.

La scelta del nome, insomma, non è un semplice omaggio al fraticello di Assisi, ma assomiglia piuttosto ad un programma di governo della Chiesa. Che non seguirà né i canoni della “Teologia della Liberazione”, e per questo non può nemmeno lontanamente essere definito un Papa con simpatie di sinistra, anche perché proprio dalla “Teologia della Liberazione” si è sempre tenuto a grande distanza (e fece tenere a distanza anche i suoi confratelli gesuiti). Né sarà una Chiesa “pauperista”. In attesa della sua prima enciclica sociale, tuttavia, l’idea che si ricava da ciò che il Cardinale ha scritto e detto in passato, è che la dottrina sociale della Chiesa potrebbe essere aggiornata da una robusta dose di realismo.

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