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Padoan, quando l'amico D'Alema non lo salutava

Il curriculum da superstar dell’Economia; gli anni di insegnamento nelle Università di mezzo mondo, quella di Tokyo compresa; le serate da direttore del Fondo monetario internazionale nei ricevimenti a Villa Firenze, residenza dell’ambasciatore italiano a Washington, incastonata tra uno scrigno di quadri dell’arte rinascimentale e il profumo delle magnolie nel parco. Tutto questo e tanto altro ancora, è certamente Pier Carlo Padoan. Ma anche lui, la superstar dell’Economia, con tanti meriti seppur accompagnati da un debole per la patrimoniale, la sua gavetta umana se la è dovuta fare. L’uomo, che dovrà ora tenere testa a Angela Merkel e ai potentati europei, si è temprato alla dura scuola del non saluto dalemiano. Non saluto, intendiamoci, accompagnato da stima e amicizia, dalemianamente parlando.

Era il periodo tra la vigilia e l’inizio del 2000, Massimo D’Alema «sfrattato» da Palazzo Chigi, secondo gli stessi amici di Max, sotto anonimato, «da Romano Prodi/la vendetta», si era rifugiato nel «fortino», dove resiste ancora e alla grande, della Fondazione Italianieuropei. Gli umori dell’uomo, al quale comunque tutto si può rimproverare tranne l’ipocrisia, si sa non sono facilissimi, tanto più con chi si presenta  al suo cospetto magari facendo pesare cotanto pedegree. E naturalmente non erano affatto migliorati in quella fase, in cui l’ex premier si definì spavaldamente «un cassintegrato della politica». In un colloquio con «Panorama» a fine novembre 2000 con autoironia disse che se ne andava in palestra. Ovviamente per scaldarsi i muscoli, sia letterali che politici.

Narrano che Padoan,  già collaboratore di «Baffino» a Palazzo Chigi, si prendesse sonore arrabbiature. Niente tappeti rossi nel «fortino» dalemiano per lui, economista riverito e incensato nei salotti dei poteri forti di mezzo mondo. Raccontano i maligni che spesso al saluto della superstar economica, Max si prendeva il gusto di non rispondere e che Padoan sempre più furibondo andava a sfogarsi con gli amici così: «Quello come si permette? Anche stamattina non mi ha detto neppure ciao…». E gli interlocutori: «Ma dài Pier Carlo, non ti arrabbiare, non la prendere così, non farci caso, lo sai che Massimo ti stima moltissimo… magari non si voleva deconcentrare». Dura da mandar giù per la superstar economica. 

A Padoan D’Alema non ha fatto certamente mancare gli auguri. Ma formulati nel seguente modo: «La Fondazione Italianieuropei augura buon lavoro al ministro dell’Economia». Chissà se Padoan, durante il suo viaggio dall’Australia, non abbia detto a se stesso: poteva almeno firmarsi con nome e cognome… 

La storia della strana coppia del saluto/non saluto continua.

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