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Omicidio di Marco Vannini, che cosa cambia dopo le ultime intercettazioni

Domanda: le intercettazioni audio e video mandate in onda ieri sera dalla trasmissione Chi l'ha visto, aggiungono o cambiano qualcosa rispetto alla situazione che già conoscevamo?

La risposta è .

Proviamo a spiegare il perché, ma prima inquadriamo brevemente il caso. Stiamo parlando della morte di Marco Vannini, il giovane bagnino di Cerveteri rimasto ucciso in seguito a un colpo di pistola mentre si trovava in casa della fidanzata la sera del 17 maggio scorso.

Antonio Ciontoli, papà della fidanzata di Marco, si è autoaccusato parlando di un colpo partito accidentalmente mentre il ragazzo si trovava nudo dentro la vasca da bagno e gli aveva chiesto di mostrargli la pistola.

Le indagini condotte dalla procura di Civitavecchia si sono concluse da poco: Cintoli, la moglie Maria Pezzillo, la figlia Martina, il figlio Federico, la sua fidanzata Viola, ovvero tutti i presenti in casa quella sera, sono indagati per omicidio volontario. Soltanto Viola è accusata di omissione di soccorso.

Secondo l'accusa, a prescindere da chi abbia ferito a morte Vannini, tutti gli altri, con il loro comportamento, con quello che hanno fatto e che non hanno fatto, sono responsabili della sua morte.

La procura configura quell'istituto giuridico che si chiama dolo eventuale, che applicato al caso si traduce in questo modo: i Ciontoli avevano ben presente la possibilità che Marco potesse morire, ma ne hanno scientemente accettato il rischio. Non hanno chiamato i soccorsi in maniera tempestiva, e di fatto lo hanno lasciato morire.

Per capire di cosa stiamo parlando, basta mettere in fila tre dati oggettivi.

Marco Vannini viene ferito alle 23,20. La prima telefonata al 118 arriva 20 minuti dopo. Un ritardo, secondo quanto riferito da Ciontoli, dovuto al fatto che lo stesse preparando per portarlo lui stesso in ospedale.

Versione un po' tirata, ma ci può anche stare.

In ogni modo, al telefono c'è il figlio Federico, che si guarda bene dal parlare di ferita da arma da fuoco, e chiude la conversazione dicendo che non c'era più bisogno.

Passa circa mezz'ora. Alle 24,08 arriva una seconda chiamata al 118. Un arco di tempo lungo, interminabile per una persona che sta male, asfissiante per chi è impegnato nel mettere ordine dentro casa.

Questa volta al telefono c'è Ciontoli, e dice che si tratta di una ferita provocata da un pettine.

Parte l'ambulanza, in codice verde, vista la segnalazione che non necessità estrema urgenza. Ma agli infermieri non viene ancora detta la verità.

Il primo che sente parlare di colpo da arma da fuoco è un medico, ma si è fatta l'una di notte. A questo punto arriva l'elicottero, Marco viene trasportato all'ospedale Gemelli di Roma.

Ma è troppo tardi. Il ventenne dai capelli biondi muore alle 3,10 per shock emorraggico.

Sono passate quasi 4 ore dal momento del presunto incidente. Se Marco Vannini fosse arrivato subito in una sala operatoria si sarebbe potuto salvare.

Non sarebbe morto, ne sono certi i magistrati che si apprestano a chiedere il rinvio a giudizio di tutti i presenti in casa quella sera.

E veniamo alle immagini, agli audio e alle intercettazioni mandate in onda ieri da Chi l'ha visto.

La prima considerazione fredda, oggettiva, è che supportano l'ipotesi che Marco sia stato vittima di un incidente. Che chi ha sparato lo abbia fatto per gioco.

Ma nello stesso tempo, dopo aver ascoltato i documenti, si rafforza la responsabilità dei presenti in casa per ciò che attiene il reato per il quale sono indagati.

Emerge chiara la consapevolezza della gravità della situazione, come tutti noi abbiamo potuto ascoltare attraverso i lamenti laceranti del giovane ferito a morte.

Eppure per i Ciontoli la preoccupazione sembra essere diversa da qualla prioritaria di salvare la vita a un ragazzo.

Erano coscienti, lo hanno lasciato morire. Tutti, tranne Viola, sono accusati di omicidio volontario.

Certo, dopo aver ascoltato gli audio, la famiglia Vannini, attraverso il suo legale Celestino Gnazi, c'è da scommettere che farà di tutto perché venga contestata anche l'aggravante della crudeltà.

Che fuori dall'aula di un tribunale è solo una predisposizione d'animo, ma al processo si trasforma in macigno in termini di determinazione dellla pena.

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