Cala l'occupazione ma la realtà è peggio del dato Istat

Come ha comunicato l'Istat il primo febbraio, la disoccupazione a dicembre è salita in Italia al 9%. Un dato brutto, certo, ma non drammatico: nel 2014, per esempio, la disoccupazione viaggiava oltre il 12%. Il problema è che questo dato non riflette la situazione reale del mondo del lavoro. In altre parole il dato del 2020 è falsato dal blocco dei licenziamenti: non a caso chi ha alimentato la crescita dei disoccupati sono gli autonomi e i lavoratori temporanei, in particolare le donne impiegate nel commercio e nel turismo, due settori colpiti violentemente dalla crisi provocata dalla pandemia. Il numero dei lavoratori a tempo indeterminato invece è cambiato di poco, sostenuto dalla cassa integrazione. E appunto dal blocco dei licenziamenti.

Quando nei prossimi mesi verrà ripristinata la libertà di licenziare, il tasso di disoccupazione salirà a livelli più "fisiologici": secondo l'ultimo rapporto CongiunturaRef del centro di ricerche Ref, potrebbe toccare l'11,1% nel 2021 per poi assestarsi al 10% nel 2022. Naturalmente queste previsioni dipendono da come andrà l'economia nei prossimi mesi. Per gli analisti di Ref Ricerche "la seconda metà dell'anno vedrebbe anche in Italia un rimbalzo dell'attività economica, tale da portare la variazione del Pil in media d'anno al 3.9% e al 4.4% quella del 2022. Nonostante questo recupero", aggiunge però il rapporto, "il Pil a fine 2022 risulterebbe ancora inferiore al livello di fine 2019".

Ammettiamo che le cose vadano così e la disoccupazione salga di un paio di punti percentuali fino all'11%. Chi sarà più colpito e rischierà di perdere il lavoro? Come sottolineano al Ref "le specificità settoriali di questa crisi la rendono decisamente differente rispetto alle recessioni tradizionali. Se ad esempio confrontiamo la crisi attuale con i due precedenti episodi di recessione della nostra economia, osserviamo come la caduta della domanda di lavoro fosse stata concentrata ampiamente nell'industria e nelle costruzioni, mentre nella fase attuale le perdite sono soprattutto nei servizi". I settori che hanno sofferto di più sono infatti quelli del commercio e del turismo, quelli manifatturieri, delle costruzioni e dell'agricoltura invece hanno tenuto.

Quindi, se la ripresa non dovesse essere rapida, "ci potremmo ritrovare a sperimentare ampie perdite di prodotto e di posti di lavoro concentrate in pochi settori. Naturalmente, questo ha anche conseguenze in termini di ricollocazione dei lavoratori che hanno perso un impiego, considerando la difficoltà a riutilizzare le competenze acquisite in un settore diverso da quello di provenienza": si pensi per esempio a un cuoco, a un pilota di aereo o a un attore di teatro. Va anche considerato che, superata la pandemia, alcune abitudini dei consumatori potrebbero essere cambiate in modo definitivo: fare più smartworking e quindi mangiare meno spesso fuori casa. Oppure viaggiare di meno per lavoro.

Ma la ripresa potrebbe anche essere più spumeggiante. Gli economisti del Ref ricordano che i risparmi accumulati nei mesi scorsi e il basso livello dei tassi d'interesse contribuiscono a creare il contesto ideale per vedere un rapido recupero della spesa nel biennio 2021-22. Da questo punto di vista, conta molto l'efficacia delle campagne di vaccinazione; se si avesse la percezione che la crisi del Covid è stata superata in maniera definitiva, e se i governi riuscissero a non ritirare in maniera troppo brusca le misure di sostegno al reddito, "potrebbe anche materializzarsi uno scenario positivo, una sorta di clima post-bellico, in cui la voglia di lasciarsi alle spalle la fase più difficile spinge la domanda dei consumatori, innescando una ripresa più vivace rispetto a quanto atteso prodursi nel nostro scenario". Incrociamo le dita.

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