New York, cinque eventi da non perdere dell'estate 2013

Joshua White, courtesy the artist and House&Wirth

Paul McCarthy, big artist delle gallerie americane ed europee, ritesse in chiave pulp la favola di Biancaneve. Piaccia o no, "WS" (che sta per White Snow, inversione di Snow White) tiene con il fiato sospeso. Un'installazione con un video di dieci ore: la scena è la casa dei sette nani dove si consumano morbose violenze nei confronti dell’artista, che qui diventa "Paul Walt", una crasi tra McCarthy e Walt Disney. Si tratta di un festino orgiastico in cui le mele rosse sono usate come strumenti di tortura di questa elegia della brutalità, un poema della bestialità in un mondo che ha smarrito etica e giudizio.

All’interno dell’immenso hangar Armory, McCarthy ricostruisce a dimensione reale anche la casa dove si sono consumate le violenze; si può sbirciare attraverso le finestre per scoprire, in mezzo ad oggetti comuni, tracce di sangue e resti di delitti efferati, mentre tutt’attorno un gigantesco allucinato bosco di plastica avvolge il visitatore.

Per questa ultima opera il New York Times ha incensato Paul McCarthy, definendolo lo Hieronymus Bosch dei nostri tempi.

Come in un quadro fiammingo brulicante di fiere, le mostruosità governano il mondo, non c’è giudizio, legge o cultura. Ognuno - proprio come nell’arte - si salva trovando da sé la propria strada.  


Courtesy of SHop architects

Due neon illuminano il waterfront di Williamsburg, il quartiere della vita notturna di Brooklyn. Uno è quello di Domino Sugar, l'altro è quello di 'Save Domino'.  

La dismessa fabbrica dello zucchero del colosso americano si prepara a un ambizioso restyling. Oggi è un affascinante castello di ruggine, pietra e melassa sulle rive del fiume ma entro due anni si trasformerà in un patinato complesso di appartamenti e uffici circondato da grattacieli. A poco serviranno le rimostranze dei gruppi di cittadini che vorrebbero preservare la fabbrica di fine ottocento nella sua struttura originaria, magari trasformandola in un centro d’arte. La Two Trees Company, la società che ha comprato l'industria per 185 milioni di dollari, ha stilato un futuristico progetto di rifunzionalizzazione per la Domino: la raffineria centrale – un’elegante architettura di mattoni, punteggiata da archi e lesene in stile rinascimentale- verrà mantenuta mentre scompariranno invece le altre strutture che, sebbene cadenti, sono come un libro aperto sulla storia tecnologico-industriale dell’America. In questo tratto, ancora desertico di Brooklyn, nasceranno parchi, parcheggi e aree commerciali. Se l'operazione andrà a buon fine, saliranno ancora di piu' le quotazioni immobiliari di Brooklyn che è ormai più appetibile di Manhattan.

Ma intanto, lungo la rotta della Domino Sugar, è già iniziato un pellegrinaggio nostalgico: per vedere al crocevia tra passato e futuro, la fabbrica che per un secolo sfornò un milione e mezzo di chili di zucchero al giorno e che è stata una dei simboli di New York. 


Courtesy of Judd Foundation

Dopo una lunga fase progettuale e un colto restauro, la casa di Donald Judd è stata aperta al pubblico. La dimora-studio dell’artista americano è una fabbrica di ghisa e vetro di fine ‘800, situata al 101 di Spring street, nel cuore di una Soho modaiola che poco più di cinquanta anni aveva il volto di un pionieristico quartiere per artisti.

Varcare la porta di casa Judd è un viaggio in un’altra New York. L’artista comprò l’immobile nel 1968 e vi si trasferì con tutta la sua famiglia, ricavando open space per ognuno dei quattro piani del palazzo.

All’interno rimane intatta la mobilia scarna ed essenziale di Judd e le opere d’arte che furono regalate e acquistate da amici e colleghi come Dan Flavin, Robert Samaras, Claes Oldenburg. All’esterno la facciata in ghisa e vetro è un puro esempio architettonico di quel cast iron district che fa di Soho il quartiere con la più alta concentrazione di edifici in ghisa al mondo.

Fino agli anni ’50 il quartiere ospitava industrie e fabbriche, alcune di queste abbandonate, ed era buio, pericoloso, negletto, senza servizi. Artisti come Judd, alla ricerca di luce e spazio a prezzi convenienti, ebbero il coraggio di spingersi fino a questa frontiera di New York. Con loro iniziò una nuova storia, fatta di gallerie, arte e collezionisti, che alla fine degli ’80 lasciò spazio alla moda e alle vetrine della Soho di oggi.


David Heald, Courtesy of Guggenheim Museum

Pacificante, onirico, contemplativo. James Turrell avvolge l'interno del Guggenheim in un prisma di luce che dissolve le forme certe e conosciute di Frank Lloyd Wright.

"Aten Reign" (Il Regno di Aton, dio solare della mitologia egizia) è una delle più grandi installazioni mai realizzate dall’artista statunitense per uno spazio istituzionale. Dal lucernario del museo viene filtrata la luce naturale che, combinata con luce artificiale a led, immerge la rotonda del Guggenheim in fiabesche tonalità di rosa boreale, viola, azzurro sidereo, verde muschio, bianco madreperla. Il colore si distribuisce con un effetto materico lungo l’ellissi discendente delle rampe del museo, fino a lambire come un vapore leggero, il volto del visitatore. Ci si può anche adagiare, naso all’insù, lungo le sedute inclinate, pensate proprio per meditare e abbandonarsi alla luce e al colore.

Il Guggenheim è un opera d'arte in sé. Tutti gli artisti contemporanei chiamati a esporre al suo interno, hanno dovuto misurarsi con le difficoltà che pone questo tempio dell’architettura. E Turrell sembra aver superato la prova, riuscendo non solo a dialogare con l’edificio ma anche a smaterializzarlo e reinventarlo con un solo flusso di luce.


Courtesy Friends of the High Line

L'High Line non smette mai di rinnovarsi. Il parco di urbano nato sul tracciato di una ferrovia sopraelevata abbandonata di Chelsea, si allunga tra il nuovo Whitney Museum di Renzo Piano, in costruzione, e l’ultimo tratto di parco, ancora selvaggio e industriale, che ospita le installazioni d’arte di Carol Bove.

Sebbene sarà inaugurato nel 2015, l'architettura del futuro Whitney Museum è già leggibile e si può intuire quanto e come cambierà il profilo del distretto di Meatpacking. “Un meteorite poggiato su una base di vetro” lo aveva definito Renzo Piano, presentando il progetto. Un edificio in perenne comunicazione visiva con l’esterno, grazie a logge e vetrate, che incornicia l’orizzonte occidentale dell’High Line.

Nell’ultimo tratto di parco, invece, quello ancora non rinnovato e non pubblico che sorvola il quartiere di Chelsea dalla trenta alla trentaquattresima strada, l’artista Carol Bove è stata chiamata a dialogare con l'aspro e rude ambiente paleoindustriale della ferrovia abbandonata.

In mezzo a binari divelti e a vegetazione spontanea, prende corpo Caterpillar, un’installazione di sette sculture di ferro e acciaio che si dispongono come totem nella serpentina della ferrovia. Un’occasione per vedere l’ultimo tratto originario dell’High Line, risalente all’era della Grande Depressione, prima che venga assorbito in quello che è oggi uno dei parchi urbani più avveniristici del mondo.


Cinque "must see" dell'estate newyorchese. La violenza visionaria di Paul McCarthy all'Armory Park Avenue. Il misticismo di James Turrel al Guggenheim. Il parco urbano dell'High Line con le sculture di Carol Bove. La casa di Donald Judd a Soho. E infine l'antica fabbrica della Domino Sugar a Brooklyn. 

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