Napolitano scopre le intercettazioni illegali. E non ci sta

Siamo un Paese strano. Dove il Capo dello Stato, che nel giro di una settimana ha nominato senatore a vita e poi Presidente del Consiglio un insigne professorone (da quanto tempo attendiamo la nomina di Marco Pannella?), si inalbera, anzi si incazza proprio, e a ragione, perché i solerti magistrati samurai dell’antimafia a Palermo se ne sono infischiati delle prerogative fissate da Sua Santissima La Costituzione e hanno carpito le conversazioni telefoniche del Presidente (e, in particolare, del suo consulente giuridico). Come se non bastasse, queste conversazioni adesso rischiano di entrare negli atti del processo e, come da buona tradizione, compariranno prima su qualche quotidiano di guerriglia.

Il Presidente s’incazza e, lo ripeto, ha ragione. Come si dice? Meglio tardi che mai. Se n’è accorto persino lui, l’Altissimo. Ché quando a lanciare strali contro la pratica abusata e abusiva di intercettare illegalmente i membri del Parlamento era l’ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, Napolitano non ci sentiva. Vi ricordate gli scambi succulenti e scabrosi – tutti penalmente rilevantissimi, s’intende – tra l’allora premier e il temutissimo Augusto Minzolini, o tra l’allora premier e il commissario dell’Agcom, o ancora, in tempi più recenti, le conversazioni tra le poco castigate donzelle di via Olgettina. Le chiamano intercettazioni involontarie o indirette, sono il moderno mezzuccio per aggirare la legge e sputtanare (involontariamente eh!) i malcapitati, in spregio delle più elementari guarentigie istituzionali.

Stavolta è toccato all’Altissimo, chi l’avrebbe detto mai. A volte ti capitano cose che mai immagineresti. Lui mai l’avrebbe immaginato. E invece gli è capitato. Essì, gli è proprio capitato.

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