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My Name Is Emily, con il sogno del “mare dentro” – La recensione

CineMAF distribuzione, Tycoon Distribution, Ufficio stampa Studio Vezzoli R-evolution
Arden (George Webster) e Emily (Evanna Lynch) fuggiaschi a bordo della "Renault 4" gialla
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Rivive il ricordo della Emily bambina (Sarah Minto) col padre Robert (Michael Smiley)
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Capelli al vento al finestrino dell'auto, Emily (Evanna Lynch) corre verso suo padre
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Emily (Evanna Lynch) e l'innamoratissimo Arden (George Webster)
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Una bella espressione di Evanna Lynch nella parte della protagonista Emily
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Emily (Evanna Lynch) e Arden (George Webster) di fronte al mare in una intensa scena del film diretto da Simon Fitzmaurice, il regista irlandese colpito da SLA e appena scomparso a 43 anni

Ha sedici e anni e grandi occhi azzurri, a scuola dicono che è stramba perché legge libri e invece ha una sensibilità cosmica, sembra ruvida e spigolosa ma dentro di sé vive i tumulti di un’infanzia e di un’adolescenza zeppe di combinazioni labirintiche. “Cosa c’è che non va in te?” la domanda che le rivolgono più di frequente. È la Emily (Evanna Lynch), di My Name Is Emily (in sala dal 1° novembre, durata 94’) diretto dal magnifico cineasta irlandese Simon Fitzmaurice, scomparso pochi giorni or sono, appena 43enne, per una SLA che lo ha rapito lasciando in solitudine una moglie e cinque figli.

Film arcano e poetico attorno al profilo della giovinetta bionda che vive costantemente tra passato e presente nel ricordo della dolce madre morta (Deidre Mullins) che si chiamava come lei e di un padre, Robert (Michael Smiley), diventato scrittore ma dopo quel lutto progressivamente aggrovigliatosi in peregrinazioni filosofiche fino a perdere la ragione e ad essere, per questo, internato in una clinica psichiatrica. Già, Robert il delirante, uno che prima non parlava mai e che una sera, senza preavviso – ricorda la voce fuori campo di Emily - parlò per dire: “Vivi o morti. Alcune persone vanno in giro come se avessero vissuto 100 anni e ne avessero altri 100 da vivere li vedi mentre indossano la loro armatura  ma non possono nascondere la paura nei loro occhi”.

Una lettera mai arrivata e una vecchia “Renault” gialla

A suo modo un mito, per la ragazza. Nelle memorie di una complicità affettiva adesso persistente nelle lettere che il padre le invia con cadenze tanto regolari che quando, improvvisamente e proprio il giorno del suo compleanno, quell’abitudine viene meno, Emily teme che gli sia accaduto qualcosa e decide di raggiungerlo in clinica, scappando dalla famiglia affidataria. Ad accompagnarla nella fuga c’è Arden (George Webster), ragazzo teneramente e trepidamente innamorato di  lei (che mantenendo la sua scorza acuminata lo tiene a distanza e quasi lo ignora), il quale riceve in dote da una nonna spettacolare (Stella McCusker ) una magnifica antica Renault 4 gialla cui affidare il lungo viaggio: alla ricerca di un padre e, forse, dell’amore.

“Niente ci può separare, il mare è dentro di noi”

Emily e Arden, l’asfalto e le campagne verdi, la “corsa verso  il nulla in un paese che non riesce a nascondere la sua tristezza”, il perdersi sui sentieri e le colline, l’approdo ad un mare che per la ragazza ha un significato davvero speciale nei ricordi del padre che sussurrando  le prometteva “niente ci può separare perché abbiamo il mare dentro di noi”. Eccoli, erranti e vibranti sui sentieri  d’Irlanda, lui innamorato di lei a prima vista “fino a voler scomparire nei pori nella sua pallida pelle e se v’è capitato di prendere una scossa elettrica capirete…”; lei chiusa a riccio ma con stretto sul petto il Furore di John Steinbeck che Arden le ha regalato, usato per sentire il calore delle mani di chi lo ha già letto prima.

Sulla strada: ma è vietato chiamarlo “road movie”

Lirico, pregnante,  frammentato ed ellittico all’inizio, carico di attrazione magnetica alla maniera di un Terrence Malick, il film  si chiude a poco a poco mescolando i flashback dell’infanzia di Emily e il suo presente narrativo, diventa fino in fondo decifrabile nella sua dimensione orizzontale e sentimentale (ma guai chiamarlo road movie), si affaccia alle citazioni sulla filosofia (Platone), la poesia (William Wordsworth), infine sull’arte figurativa (Un domenica pomeriggio sull’isola della Grande-Jatte di Georges Seurat con la sua trama minuta e la lente della macchina da presa sulla bimba al centro del quadro, unica figura frontale nel dipinto con la madre, a guardare verso l’osservatore  come mediazione tra il mondo reale e quello “verosimile” della pittura). Che allegoria.

Evanna Lynch, da “Harry Potter” alla maturità

Lirismo, eleganza, delizia. È la sintesi di un cinema capace di sedurre e coinvolgere senza, con questo, abbandonarsi ad un rovinoso slittamento retorico o, peggio, a un facile sentimentalismo; e di mantenere la sua identità teen schivandone tutti i luoghi comuni. Grazie anche ad una maturità e a un equilibrio espressivi che si ritrovano in primo luogo negli attori, specie in una Evanna Lynch dalla densità drammaturgica ben più consapevole ed energica di quella manifestata nel personaggio di Luna Lovegood della serie Harry Potter che l’ha resa popolare. Preziosi sono i testi scritti dallo stesso Fitzmaurice, vivide le profondità del paesaggio e le emozioni nella fotografia del quotatissimo Seamus Deasy, luci fascianti, tonalità morbide di mutevole, quasi di illusoria rêverie.

Soundtrack funzionale nel campionario dei generi

Siccome, in un film così, anche la musica è importante, vale la pena di elogiarne le scelte in un soundtrack estremamente funzionale che combina il britannico melodico-romantico di Jake Bugg con la dance elettronica dell’australiana Liza Flume e con un campionario di sonorità irlandesi dal rock di The 4 of Us al tradizionale e all’alternative rock di James Vincent McMorrow, all’indie pop acustico e tradizionale di Lisa Mitchell, al rock di Paul Anthony Noonan in coppia con Lisa Hannigan. Selezione raffinata per un bel sentire, nel vedere.

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