Un altro bimbo "rubato" dalla giustizia

Questa è la bruttissima, sfortunata storia di Alexander C. un bambino nato il 5 settembre 2013. Che dal 25 novembre la giustizia italiana, attraverso il Tribunale per i minori di Genova, ha sottratto alla madre (moldava) e al padre (romeno). Quasi sicuramente senza un reale motivo. 

I problemi di Alexander e della sua famiglia cominciano il 20 novembre, quando il padre di Alexander, Petru, lascia moglie e figlio a Sanremo per volare in Romania allo scopo di registrare all'anagrafe la nascita del bambino. Petru è in Italia da una decina d'anni, fa l'elettricista, parla bene l'italiano; non altrettanto, purtroppo, può dirsi di sua moglie Angela, che è immigrata da poco e non ha ancora le minime nozioni lessicali. Una volta in Romania, in un colloqui al telefono, Petru capisce che la moglie non sta bene: è agitata, scossa, forse manifesta i sintomi di una lieve depressione da parto. 

Petru allora chiama un amico, Adrian, perché vada a vedere se in casa tutto sia a posto. Quando Adrian arriva, trova effettivamente la donna in uno stato di malessere. Anche il bambino non sta bene: ha difficoltà a essere allattato, qualche problema respiratorio. Adrian quindi chiama il 118. Il bambino e la mamma vengono portati all'ospedale di Sanremo e a questo punto parte la segnalazione alla questura e ai servizi sociali. Alexander viene descritto come in stato di disidratazione e denutrizione. La casa di Petru e Angela viene descritta come "non sporca, ma in stato di degrado e trascuratezza". Si parla di «disinteresse» della madre, ed evidentemente se ne deduce un potenziale abbandono del figlio.

Avviata l'inesorabile macchina della giustizia minorile, la sua corsa non si ferma più e travolge tutto: gli affetti e le relazioni familiari, ma un po' anche la logica. Perché a quel punto non serve che Petru, preoccupato, torni immediatamente in Italia. Non servono a nulla nemmeno alcune perizie mediche nelle quali si dimostra che la mamma di Alexander sta bene, al massimo è un filo depressa, e che il suo vero problema è che quasi non parla una parola d'italiano.

I servizi sociali, in breve, ottengono dal Tribunale dei minori di Genova l'affidamento di Alexander a una casa famiglia. E con un provvedimento sicuramente eccessivo ottengono una postilla drammatica, oltre che sicuramente nociva per l'equilibrio psichico e affettivo del neonato: il divieto di incontrarlo per padre e madre.

Petru, ovviamente, protesta. È solo in un paese straniero; suo figlio è praticamente scomparso e sua moglie giace in un letto d'ospedale. È  disperato, non sa che fare: bussa anche al consolato romeno, chiede aiuto. Il console generale di Romania in Italia scrive al Tribunale dei minori, e nella lettera sottolinea che "i genitori di Alexander si sentono umiliati nella loro dignità di genitori perché sono una famiglia unita e stabile, capace di allevare e di educare il proprio bambino". Il Tribunale non gli risponde nemmeno.

Anche le insistenze e proteste di Petru hanno il solo effetto di provocare l'indurimento da parte dei servizi sociali di Sanremo. In una relazione per il Tribunale, infatti, gli assistenti sociali censurano gli "atteggiamenti rivendicativi" (in realtà più che giustificati) da parte del padre del bambino, che in un incontro con loro ha inutilmente cercato di fare capire che la loro diagnosi sulla madre è esagerata: presto la situazione di quel faccia-a-faccia è infatti presto degenerata per la disperazione di Petru, che di fronte alla sottrazione del figlio e alla per lui incomprensibile resistenza dei servizi sociali si dispera, grida "se mia moglie muore è per colpa vostra".

Da allora la situazione resta disperatamente immobile. Alexander passa dall'ospedale alla casa famiglia. I suoi genitori sono in drammatica attesa di rivederlo. Petru ha avuto per qualche giorno il permesso di incontrare suo figlio, ma presto anche quello spiraglio si è chiuso quando il padre (su suggerimento del suo consolato) si è rifiutato di consegnare al tribunale i documenti del figlio, forse temendo che questo potesse preludere a un provvedimento di affidamento a terzi.  

La morale? Che in Italia basta davvero poco per giustificare il "rapimento" pienamente legale di un bambino, e a far calare un muro impenetrabile tra lui e i suoi genitori. Basta che quel bambino stia male. Basta che sua madre non parli italiano e sia un po' depressa. Basta che il padre, romeno, sia lontano da casa e, al suo ritorno, abbia l'infausta idea di reagire un po' sopra le righe a a un provvedimento che (giustamente) ritiene eccessivo e ingiusto. 

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