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Michael Moore: "Vi spiego perché vincerà Trump"

Mi dispiace dover essere ambasciatore di cattive notizie, ma sono stato chiaro l'estate scorsa quando vi ho detto che Donald Trump sarebbe stato il candidato repubblicano alla presidenza. Ed ora vi porto notizie ancora più terribili e sconfortanti: Donald J. Trump vincerà a Novembre. Questo miserabile, ignorante, pericoloso pagliaccio part-time, e sociopatico a tempo pieno, sarà il nostro prossimo presidente. Presidente Trump. Forza, pronuciate queste parole perché le ripeterete per i prossimi quattro anni: "PRESIDENTE TRUMP". In vita mia non ho mai desiderato così tanto essere smentito.



Esordisce con queste parole, sul suo blog, Michael Moore, il regista impegnato più famoso d'America, già nemico giurato delle guerre di Bush. Una lettera aperta, diretta ai suoi fan, in cui spiega le cinque ragioni per cui il miliardario americano vincerà le elezioni presidenziali di novembre. Vorrebbe sbagliarsi il regista, ma - ha spiegato - teme proprio che i fatti gli daranno ragione. C'è dell'ironia ovviamente, come in tutte le cose che ha fatto Moore nella sua vita, ma le sue sono apparse a larga parte dei commentatori americani come considerazioni assolutamente serie. O perlomeno degne di essere discusse sui media americani.


La matematica industriale del Midwest
Secondo Moore, Trump concentrerà buona parte della sua attenzione sui quattro stati blu della cosiddetta Rust Belt a nord dei Grandi Laghi,  Michigan, Ohio, Pennsylvania e Wisconsin. Sono quattro stati tradizionalmente democratici che hanno però eletto governatori repubblicani dal 2010. E perché? Per la crisi post-2008 che ha bruciato decine di migliaia di posti di lavoro. Secondo Moore, il sostegno che Hillary ha dato al TPP e prima al NAFTA ha contribuito a distruggere gli stati industriali dell'Upper Midwest, facendo perdere migliaia e migliaia di posti di lavoro a un numero esorbitante di lavoratori, ormai arrabbiati e delusi dai dem. Tanto delusi da essere tentati di far loro un dispetto quando si tratterà di votare.  "Durante le primarie in Michigan Trump, all'ombra di una fabbrica Ford, ha minacciato l'azienda che se, avesse portato avanti il piano di chiudere la fabbrica e trasferirla in Messico, lui avrebbe applicato una tariffa del 35% su ogni vettura fabbricata in Messico e rispedita agli Stati Uniti. È stata musica per le orecchie degli operai del Michigan".  Trump, secondo Moore, farà leva, e lo ha già fatto durante le primarie, sulla rabbia di questi lavoratori abbandonati dal partito democratico. La sua arma vincente.

Trum, l'ultimo baluardo dell'uomo bianco
Dopo un nero, una donna. Quando è troppo è troppo. Alla rabbia dell'Uomo Bianco, specie in via di estinzione, Trump sta fornendo risposte che possono piacere o non piacere. Ma sono straordinariamente efficaci, perché parla a un pezzo nemmeno trascurabile d'America.  "Ed ora dopo aver sopportato per otto anni un uomo nero che ci diceva cosa fare, dovremmo rilassarci e prepararci ad accogliere i prossimi otto anni con una donna a farla da padrone? Dopodiché, per i successivi otto anni ci sarà un gay alla Casa Bianca! Poi toccherà ai transgender! Vedete che piega abbiamo preso. Finiremo col riconoscere i diritti umani anche agli animali ed un fottuto criceto guiderà il paese. Tutto questo deve finire". Scherza Moore, ma più che scherzare cerca di immedesimarsi in quella fetta di elettorato bianco spaventata e vogliosa di rivincita. La rivincita che gli offre Trump.

Il problema Hillary Clinton
Il problema secondo Moore è che Hillary non piace. E non piace  ai giovani, alle donne, a quelli che dovrebbero essere i tradizionali elettori democratici. "Accettiamo la realtà dei fatti: il nostro problema principale non è Trump, è Hillary. È incredibilmente impopolare: quasi il 70% degli eletteori pensa che sia disonesta e inaffidabile" scrive il regista che poi spiega le ragioni per cui molti elettori potenzialmente democratici non la voteranno.

"Hillary è una rappresentante della vecchia politica, che non crede a niente se non alle cose utili a farsi eleggere. Ecco perché il momento prima si oppone al matrimonio gay e quello dopo ne celebra uno. Tra i suoi principali detrattori ci sono le giovani donne (...). Ma i ragazzi non la amano, e non passa giorno senza che un millennial non mi dica che non voterà per lei. Nessun democratico, e di certo nessun indipendente, si sveglierà l'8 Novembre e vorrà precipitarsi a votare per Hillary, come invece hanno fatto il giorno dell'elezione di Obama o quando Bernie ha corso per le primarie. Non c'è entusiasmo. Dal momento che questa elezione si riduce ad una cosa sola (chi tira più persone fuori di casa e le conduce ai seggi), Trump adesso è in testa".

"Il voto depresso" degli elettori di Sanders
"L'allarme dovrebbe scattare perché quando il sostenitore medio di Bernie si recherà alle urne quel giorno per votare, seppur con riluttanza, per Hillary, esprimerà il cosiddetto "voto depresso": significa che l'elettore non porta con sé a votare altre 5 persone. Non svolge attività di volontariato nel mese precedente alle elezioni. Non parla in toni entusiastici quando gli/le chiedono perché voterà per Hillary. Un elettore depresso. Perché, quando sei giovane, la tua tollerenza verso gli ipocriti e le stronzate è pari a zero. Ritornando all'era Clinton/Bush, per loro è come dover improvvisamente pagare per la musica, o usare MySpace o portarsi in giro uno di quei cellulari giganteschi. (...) Non voteranno per Trump, qualcuno voterà il terzo partito, molti se ne staranno a casa".

 L'effetto Jesse Ventura 
Laddove esiste rabbia e delusione per un sistema politico corrotto, e milioni di elettori si considerano "ribelli segreti" una volta rimasti soli nella cabina elettorale, scrive Moore, milioni di persone potrebbero votare per Trump, non perché siano d'accordo con lui, "non perché ne adorino il fanatismo e l'ego", ma solo perché confidano che "manderebbe tutto all'aria e farebbe arrabbiare mamma e papà". C'è in fondo una ragione psicologica: "A tantissime persone piacerebbe interpretare il ruolo del burattinaio e "gettarsi nel vuoto" per Trump, solo per vedere cosa potrebbe succedere". Moore racconta un aneddoto per essere ancora più chiaro: "Ricordate quando, negli anni '90, gli abitanti del Minnesota hanno eletto come governatore un wrestler professionista?" si domanda Moore, che risponde.  "Non l'hanno fatto perché sono stupidi, né perché pensavano che Jesse Ventura fosse un grande statista o un fine intellettuale politico. Lo hanno fatto solo perché potevano".  Il Minnesota, ha spiegato Moore, "è uno degli stati più intelligenti del paese, è pieno di persone con un senso dell'umorismo un po' tetro: votare per Ventura era il loro scherzo ad un sistema politico malato. La stessa cosa succederà con Trump". Insomma, c'è il rischio secondo Moore che "a una buona fetta dell'elettorato possa piacere tanto sedere in tribuna e godersi il reality show" rappresentato da Trump. Hillary, suggerisce Moore, non offre un reality altrettanto divertente.

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