Michael Jackson: la verità sui file del computer

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Michael Jackson mentre annuncia il tour "This is it" - 5 marzo 2009
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1983 Paul McCartney con Michael Jackson
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Janet Jackson e Michael

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Michael Jackson dopo la sentenza a lui favorevole del 2005. Nonostante la caduta di tutte le accuse di pedofilia, il colpo subito produrrà in Jacko un declino psicologico inarrestabile.


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Michael Jackson con Slash
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Michael Jackson in concerto a New York con Whitney Houston (a sinistra)

“A pensar male si commette peccato, ma ci si sbaglia raramente”, sosteneva Giulio Andreotti in uno dei suoi aforismi più acuti. Ed è difficile non pensare male quando, a pochi giorni dal settimo anniversario dalla morte di Michael Jackson e al quasi raggiungimento delle firme necessarie di una petizione mondiale in suo onore su Change.org per riconoscerlo come icona culturale e filantropica americana, sono iniziate a circolare sui media internazionali(e quindi italiani) delle accuse infamanti, quanto infondate, sul Re del Pop.

Purtroppo, nell’era del click-baiting e dell’informazione digitale, è più facile fare copia e incolla di una notizia di un discusso tabloid americano, il Radar Online, che verificare le fonti e approfondire una questione delicata, riguardante una persona morta che, in quanto tale, non può più difendersi.

Riassumendo, il Radar Online, giornale scandalistico americano che si occupa più di gossip che di giornalismo, ha riportato la “notizia” del ritrovamento di fantomatici nuovi file dal computer di Michael Jackson e, più in generale, di "note, diari, documenti, fotografie, audio e video" da cui emergerebbe che l’artista di Gary fosse “un manipolatore, dipendente da sesso e droghe, che usava la violenza, il sesso esplicito e i sacrifici animali per attrarre i bambini. Possedeva anche delle immagini impressionanti e disgustose di bambini nudi e torturati, adulti nudi e donne in posizioni sadomaso”.

Notizie che appaiono manifestamente infondate, in quanto tutto il materiale sequestrato nel corso degli anni nella sua casa è già stato considerato nel processo cui fu sottoposto Jackson a Santa Maria, California nel 2005. Il risultato fu un inequivocabile verdetto di innocenza relativamente a tutti i 14 capi di imputazione a suo carico. Per usare un linguaggio a noi familiare, Michael Jackson è stato assolto con formula piena da tutte le accuse di pedofilia.

Nel 2004 tutti e 18 i pc sequestati nella sua casa di Neverland sono stati minuziosamente setacciati dall’FBI, indagine da cui non risulta che sia stato trovato nemmeno un solo file compromettente. Nello stesso anno il Distretto di Santa Barbara ha reso pubblico tutto il materiale ritrovato al Ranch di Jackson su un sito internet visibile a tutti, media compresi, che potete consultare qui sopra cliccando sulla scritta verde.

In sostanza, non c’è nessun nuovo materiale, a meno che l’artista non sia tornato nel frattempo dall’aldilà per sbirciare immagini choc sul suo pc, il che è alquanto improbabile.

Ma facciamo un salto indietro nel tempo al 1993, per capire meglio come sia nata la leggenda metropolitana della supposta pedofilia dell’artista, una brutta storia che si è autoalimentata nel tempo di veleni, sospetti e falsità, fino a distruggere di fatto la sua reputazione e, di conseguenza, la sua carriera.

Jackson fu accusato per la prima volta nel 1993, all’apice del successo, da un tredicenne, tale Jordan Chandler. Allora le intercettazioni telefoniche rivelarono subito che il padre del ragazzino, un ex dentista radiato dall’albo per pratiche illecite, aveva pianificato tutto per vendicarsi del cantante, che si era rifiutato di finanziargli un progetto cinematografico. L’uomo, che si è suicidato nel 2010, probabilmente spinto dai sensi di colpa, era arrivato perfino a somministrare a suo figlio l’Amobarbital, un barbiturico con proprietà ipnotiche, per farlo "confessare" davanti ai giudici.

Allora ci fu un accordo extragiudiziario con la famiglia, di cui in seguito lo stesso Jackson si pentirà, versando un assegno da 22 milioni di dollari per chiudere in fretta la questione su pressione della sua casa discografica, che non voleva ripercussioni sul tour in corso di Jackson.

L’avvocato dell'artista, Tom Meserea, ha confidato: “E’ vero che per lui erano spiccioli, ma fu un errore gravissimo, creò un precedente e qualcuno deve aver pensato, perché lavorare se si possono estorcere quattrini a Jackson? Michael fu consigliato male dal suo staff, la cui unica preoccupazione era quella di perdere somme di denaro, magari essere costretti ad annullare gli spettacoli per via del processo”.

Ancora più infamanti le accuse rivolte anni dopo da Gavin Arvizo, un tredicenne che Jackson aveva aiutato a guarire dal cancro. Arvizo accusò il Re del Pop di abusi sessuali sull'onda dell’eco mediatica creata dallo speciale televisivo Living with Michael Jackson del giornalista britannico Martin Bashir, andato in onda il 3 febbraio.

Un perfetto esempio di cattivo giornalismo, nel quale, con un sapiente taglia e cuci di immagini e di spezzoni di interviste,  fu messo in cattiva luce l’ex bambino prodigio dei Jackson Five.

Il processo iniziò il 31 gennaio 2005 e terminò il 13 giugno dello stesso anno, quando la giuria emise un verdetto unanime di "non colpevolezza" per tutti i quattordici capi d'accusa. La notizia dell’assoluzione di Jackson fu data dai media in modo fugace, per loro è sempre stato colpevole e, a quanto dimostrano gli ultimi accadimenti, lo è tuttora. Michael Jackson, che ha espresso tutta la sua rabbia nei confronti delle fantasiose ricostruzioni giornalistiche sulla sua vita privata nella corrosiva Tabloid Junkie, ha dichiarato: “La tecnica che usano i giornali è molto semplice: se continui a raccontare una bugia assurda, il lettore, a un certo punto, comincerà a pensare che sia vera”.

La giornalista Aphrodite Jones seguì il processo per conto della Fox. Riteneva anche lei colpevole il Re del Pop, ma in seguito cambiò idea e scrisse nel 2007 un libro, dall'inequivocabile titolo Il complotto. “Quando in quell’aula – rivela la giornalista – il giudice pronunciò per 14 volte non colpevole, guardai Jackson in faccia e mi resi conto che la sua espressione era quella di un uomo grato, soddisfatto che giustizia fosse stata fatta, perché non era colpevole. Lì cambiai idea”.

Il cantante, pur sollevato da quelle terribili accuse, ne uscì distrutto dal punto di vista psicologico e artistico. Il suo fisico non ha retto a una dose eccessiva di Propofol, la sostanza che, incautamente somministrata dal suo medico curante Conrad Murray(condannato per omicidio colposo), l’ha ucciso il 25 giugno del 2009.

Oggi, a sette anni di distanza dal tragico evento, non c’è praticamente artista r&b contemporaneo, da Pharrell Williams a Robin Thicke, da Bruno Mars a Justin Timberlake, che non si ispiri apertamente al pop visionario e senza confini di Michael Jackson.

Il suoi passi vengono insegnati nelle scuole di danza moderna, i suoi album, sia di repertorio che postumi, vendono ancora migliaia di copie e ogni anno il numero dei suoi fan cresce in modo esponenziale.

Tutti sanno che appartiene a lui l’album più venduto della storia, il capolavoro Thriller, con cento milioni di copie(anche se alcuni sostengono che siano in realtà 66 milioni, comunque il primato non cambia), un numero che continua a crescere di anno in anno.

Un record meno conosciuto, ma ancora più importante, è quello certificato dal Guinnes dei primati di maggior filantropo nello show business, con quasi quattrocento milioni di dollari donati in opere di beneficenza e di filantropia, in particolare ospedali e orfanotrofi.

Ci auguriamo che sabato 25 giugno, settimo anniversario della morte del cantante, sia un giorno di festa, condito dalle canzoni, dai video e dai passi di danza dell’artista di Gary, lontano dalle polemiche che hanno avvelenato la sua vita e la sua salute.

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