Miami o Miami Beach? That is the question

Tra poche ore a Miami Beach inizia la fiera dell’arte Miami Art Basel, arrivata alla decima edizione. Camion giganteschi trasportano le opere più costose del mondo in direzione Convention Centre, creando un traffico mai visto nei giorni scorsi. Qualcuno è già parcheggiato e da ore sta scaricando le opere con cura maniacale, circondato dalla sicurezza.

Intanto gli inviti ai cocktail, dinner, preview, feste, presentazioni e chi più ne ha ne metta non si contano. I brand del lusso, da Louis Vuitton a Bulgari, passando per Dsquared, Berluti, Pucci, Rolex, Moschino e qualsiasi altro abbia almeno come cliente Paris Hilton e Kim Kardashian, sono tutti dislocati tra la Soho House, lo Standard, il Thompson, il W e il Delano; le hostess stanno già lucidando gli ipad con le liste degli invitati. Non ci sarà pace in queste notti fino a venerdì.

Il tempo è magnanimo, 25 gradi, anche se le nuvole oggi sono padrone. Ma qui è un attimo ed esce il sole.

Intanto anche a Miami c’è fermento. Che dall’Europa sembra la stessa cosa ma non lo è. Un ponte divide le due realtà dell’arte. Una, a Miami Beach dove si tiene la fiera, l’altra a Miami dove il Design District coi brand del lusso sulla quarantesima strada da una parte, e la street art e Wynwood Walls dall’altra, si contendono la scena. E grossi tycoon immobiliari, con i loro imponenti building, hanno deciso a tavolino che il futuro del design e del business che ne consegue sarà lì, a Miami.

Intanto parlo al telefono con un amico artista, genio ma ancora squattrinato, che vive a New York. Definisce la fiera di Miami visually rich. Può darsi. La difendo, l'atmosfera è interessante. Ma quando finisco la conversazione non riesco a non riflettere. Speriamo che tutto questo non si trasformi in una guerra tra real estate e specchio per allodole.

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